L’elaborazione indubbiamente più nota del concetto di obbligazione pecuniaria risale al Savigny. Possono assumersi quali passaggi significativi di tale elaborazione, la critica di una considerazione di denaro sub specie della prestazione di cose generiche ossia della prestazione di cose rilevanti per la loro appartenenza ad un genus. La critica savignyana muoveva dalla piena consapevolezza che i problemi posti dall’obbligazione pecuniaria fossero altri da quelli posti da una qualsiasi obbligazione generica. Si dovrebbe risolvere il problema alla stregua dei principi sull’interpretazione dei negozi giuridici, specificandosi ulteriormente il problema nel compito di verificare se il contenuto di un debito di denaro sia da intendere nel senso del valore nominale, di quello metallico o di quello corrente della somma di denaro espressa nel negozio.
La risposta del Savigny è nel senso che la somma di denaro espressa è in funzione del valore corrente al tempo del negozio. Di questa elaborazione sono stati evidenziati di volta in volta la scelta antinominalistica, consistente nel negare una qualsiasi funzione creativa allo stato in ordine all’attribuzione della qualità di denaro a singole cose, giacché l’acquisto di tale unità deve ricondursi al generale riconoscimento sociale del valore di denaro degli oggetti considerati e ciò nella comune convinzione di ciascuno di dovere accettare cose in ragione di quel valore perché anche tutti gli altri le accettano per la stessa ragione.
Il ricorso invece alla categoria generica è difeso invece da altri autori, i quali argomentano dalla naturale fungibilità del denaro. Tale natura è accentuata da quegli autori che definiscono il debito di denaro come debito di valore. Se l’obbligazione pecuniaria è obbligazione generica, non vi sarà più obbligazione pecuniaria se i pezzi monetari da prestare vengono presi in considerazione per le loro caratteristiche individuali, e non in quanto unità pertinenti ad un genus più ampio. Ma la riconducibilità dell’obbligazione pecuniaria alla categoria dell’obbligazione generica appare tesi difficilmente difendibile. Contraddittoria appare infine quella concezione che, dopo aver definito il denaro qual mezzo di pagamento, pretende di assumere tale definizione all’interno di uno schema tradizionale di obbligazione, dandosi così come risultato, contraddittorio, uno schema di obbligazione che ha ad oggetto un mezzo di pagamento.
Le dottrine successive al Savigny cercheranno di riaccostare l’obbligazione pecuniaria e l’obbligazione di cose. Chiave di lettura è l’esigenza che la prestazione venga quantitativamente determinata. La differenza non sta tanto nell’oggetto della prestazione, come sempre si è ritenuto, ma nel criterio per misurarla quantitativamente, mensura e mensuratum debbono ritenersi distinti. Per il debito di denaro si ricorre invece ad una unità legale (lira) o materiale (oro o argento) di misura dei valori. Tali misure sono alterabili. Questo è il pensiero dell’Ascarelli, il quale ha dedicato al tema delle obbligazioni pecuniarie apporti significativi. Ascarelli perviene a caratterizzare la forma del debito di denaro in base a questo triplice criterio:
dell’oggetto della prestazione (consistente in pezzi monetari);
della sua appartenenza allo schema delle prestazioni di genere;
della determinazione quantitativa di esso nei termini di unità di misura dei valori.
È necessario il contemporaneo concorso di queste caratteristiche per aversi l’applicabilità della normativa dei debiti di denaro. La particolare ricostruzione concettuale dell’Ascarelli è destinata ad avere riflessi non trascurabili:
sul significato e portata da assegnare al principio del valore nominale della moneta;
sulla distinzione di tale principio da quello dell’obbligo di accettazione nel pagamento di moneta per il suo valore nominale;
sul ruolo da assegnare al ricorso ad unità di misura diversa da quella legale.
Ad essere opinabile è il criterio metodico di fondo consistente nello sforzo di ricondurre il debito di denaro al modello della obbligazione generica di cose e alla problematica posta dal ricorso ai criteri di determinazione quantitativa della prestazione. Si dovrà ritenere superata la distinzione tra mensura e mensuratum col progressivo distacco della prestazione di denaro da quella di cose, giacché il problema della unità di misura avrebbe finito con l’identificarsi col problema stesso del mensuratum. Avrebbe contribuito a tale identificazione il fatto che gli stessi pezzi monetari sarebbero stati denominati in funzione dell’unità di misura, così da far apparire una inutile complicazione teorica la distinzione tra mensura e mensuratum.
Altro scrittore ha osservato come il problema che pone l’obbligazione pecuniaria non è quello della determinazione del suo oggetto ma della quantità di moneta da corrispondere al momento della scadenza del debito. La circostanza che la legislazione (1277 c.c.) si incarichi di definire quale è la specie di moneta con la quale il debitore ha l’obbligo di pagare e il creditore l’onere di accettare (money of payment) non ancora risolve il problema della quantità di moneta da corrispondere per estinguere il debito (money of contract). Si può dire che, se il primo tipo di problema è proprio e comune di ogni obbligazione generica, il secondo è peculiare dei debiti di denaro.
I concetti richiamati trovano un preciso referente materiale nell’andamento degli scambi o meglio nella evoluzione subita dal processo di circolazione delle marci e nel diverso ruolo e funzione che è andato assumendo, in tale processo, il denaro. Possono apparire considerazioni ovvie ma è certo che, essendosi venuto sempre più accentuando il fenomeno della separazione tra la cessione della merce e la realizzazione del suo prezzo, il denaro è venuto assumendo la funzione di mezzo di pagamento. Il che significa che il denaro, se inizialmente aveva la funzione di rappresentare il valore della merce oggetto di scambio, diventa ora fine a sé stesso della vendita, per una necessità sociale che sorga dalle condizioni stesse del processo di produzione. A ciò si accompagna anche un mutamento nei ruoli giuridici tradizionali, giacché al venditore tenderà a sostituirsi il creditore e al compratore il debito.