Se il danno non patrimoniale da lesione di diritti costituzionalmente garantiti è il danno non patrimoniale affrancatosi dai limiti del 2059, nel caso di lesione di tali diritti una questione autonoma di danno morale non si pone più.

Delle tre voci che sin da Corte cost. 184/1986 si sono dette costituire il danno alla persona (danno biologico, danno patrimoniale, danno morale) rimangono solo il danno patrimoniale e quello non patrimoniale.

A sua volta il danno non patrimoniale sarà o costituito dall’offesa del diritto alla salute o di un altro diritto di pari tutela costituzionale, oramai sciolti dai limiti del 2059, o il tradizionale danno morale.

Cassazione 8827/2003 ritiene di chiarire che la lettura costituzionalmente orientata del 2059 va tendenzialmente riguardata non come strumento di duplicazione degli stessi pregiudizi, ma soprattutto come mezzo per colmare la lacuna nella tutela risarcitoria della persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale.

La Cassazione però non si avvede che nel danno non patrimoniale non possono concorrere contemporaneamente un “danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso” e “pregiudizi diversi”, “costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto”, perché questa è proprio una duplicazione dello stesso pregiudizio.

Il danno non patrimoniale non può essere biforcato in danno biologico, o più ampiamente alla persona da un lato, e danno morale dall’altro.

Essi sono il risultato di tentativi successivi del diritto giurisprudenziale di scagionare il danno non patrimoniale dai limiti del 2059.

Tentativi successivi perché, dopo acquisito il risultato per i fatti di lesione dell’integrità fisica, il problema è stato riaffrontato per dare analogo respiro ai casi nei quali tale lesione non si fosse verificata ma ugualmente la persona risultava offesa in uno dei suoi attributi di libertà e di ben-essere che devono ritenersi tutelati dal 2 o da altre norme della Costituzione.

Sia il danno biologico che il danno alla persona come categoria più generale nascono e si giustificano come surrogati di un danno morale che non è in grado di diventare figura risarcitoria generale alla stregua del danno patrimoniale.

Una volta, però, che li abbiamo sostituiti al danno morale, aggiungere ad essi il danno morale significa moltiplicare per due un risarcimento che si riferisce al medesimo presupposto.

Un simile sforzo nasce dall’equivoco che il danno alla persona debba riguardare solo la lesione fisicamente percepibile e non anche la pena e il dolore che ne conseguono.

Alla chiarezza su questo punto non hanno giovato le tabelle adottate dallo stesso legislatore per le c.d. micropermanenti, che identificano il danno alla salute con la semplice invalidità, tagliando fuori la pena, l’ammanco, talora la malinconia come ulteriore stato patologico che a questa consegue, i quali, stante il 2059, non sono risarcibili ove non ricorra un illecito penale.

Il danno alla persona originato dall’offesa all’integrità fisica non si riduce a quest’ultima, ma deve essere comprensivo della pena sofferta e della sensazione di ammanco e di toglimento ad essa connessa.

Per questo affermo che la liquidazione può essere soltanto equitativa, frutto cioè del concreto apprezzamento del giudice circa il complessivo significato negativo che l’evento dannoso ha rappresentato per la persona.

{Lo conferma ora Cass. 8827/2003, e lo sottolinea Francesco Donato Busnelli}.

Sia per il danno non patrimoniale conseguente alla lesione della persona sia per il danno morale tradizionale occorre comunque tener presente la precisazione di Corte cost. 372/1994, secondo cui è sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dal 1223, costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato.

In piena sintonia con questo assunto, Cass. 8828/2003 afferma che il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto deve essere “allegato e provato”.

{Cass. 8828/2003, accedendo all’idea da noi sostenuta secondo cui il 2059 è la norma che riguarda il risarcimento del danno non patrimoniale, mentre la fattispecie va comunque rinvenuta nel 2043, afferma che il 2059 non delinea una distinta figura produttiva di danno non patrimoniale, ma nel presupposto di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito civile extracontrattuale definito dal 2043 consente, nei casi determinati dalla legge, anche la riparazione di danni non patrimoniali}.

Uno sguardo ad ordinamenti vicini al nostro – ad es. il Codice civile generale austriaco del 1812 ed il Codice svizzero delle obbligazioni del 1912 – ci conferma che uno solo possa essere il danno non patrimoniale, per lesione del diritto alla salute o, più in generale, della persona o, alternativamente, il danno morale ancora pienamente assoggettato ai limiti del 2059.

Anche il legislatore tedesco, col nuovo comma 2 del § 253 BGB non ha fatto altro che ripetere il tenore dell’abrogato § 847, innovando rispetto al passato, ma solo nel senso di estenderne la risarcibilità anche alla responsabilità contrattuale ed alla responsabilità oggettiva, senza però mutare contenuto e limiti.

Ed in Francia il dommage moral ingloba l’intero danno non patrimoniale da lesione della persona.

Ne risulta che in tali ordinamenti il danno non patrimoniale è quello che consegue alla lesione della persona, quello che oggi noi, ancorandolo alla violazione di diritti costituzionalmente garantiti, abbiamo liberato dalle strettoie del 2059, ignote invece al codice francese.

Samuel Pufendorf commisura il risarcimento alla somma per la quale il danneggiato sarebbe stato disposto a sopportare il dolore che gli è stato cagionato, ma la formula non è accettabile in sé perché:

a. presuppone una liceità di simile scambio, che in generale nessun ordinamento consente;

b. non sconta che il soggetto può rifiutarsi di cedere alcunché della sua integrità fisica;

c. commisura il prezzo del danno a ciò che l’ammanco vale per il soggetto leso, mentre semmai quello che si dovrebbe tenere presente è il prezzo di un mercato che non c’è.

È improprio perciò parlare di risarcimento, tant’è che nei codici più frequentemente si parla di riparazione o di indennizzo.

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