Vigente la disciplina delle società nella redazione originaria del codice civile 1942, avevamo combattuto l’idea (sostenuta da Francesco Galgano) che nel caso di danno arrecato dalla società controllante ad una società controllata la prima avrebbe potuto essere chiamata a rispondere nei confronti della seconda e degli azionisti della stessa, a propria volta danneggiati dalla gestione di quest’ultima, nonostante mancasse nel nostro ordinamento una precisa disposizione.

Chi sostiene che il nostro sia un sistema di responsabilità civile retto da una clausola generale, coerentemente poteva affermare che una norma del genere sarebbe stata superflua nel nostro ordinamento.

Ritenevamo che la società controllante dovesse rispondere, ove ne ricorressero gli estremi, sub specie di responsabilità per (induzione all’)inadempimento ex 2392 (Responsabilità verso la società) in concorso con gli amministratori della società controllata, lasciatisi indurre dalla prima a non adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del mandatario (ora la norma dice che Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze).

E analogamente ex 2394, in concorso con gli amministratori, verso i creditori sociali.

La riforma delle s.p.a. (d. lgs. 6/2003) ha ora risolto il problema, dettando una norma specifica, il nuovo 2497 (Responsabilità), in materia di responsabilità da “direzione e coordinamento di società”, prevedendo che le società e gli enti che tale direzione e coordinamento esercitano sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste [delle società controllate] per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società.

La regola nuovamente introdotta prende atto legislativamente della realtà dei gruppi, e conferma che senza una norma ad hoc un danno meramente patrimoniale non è suscettibile di risarcimento in sede aquiliana.

Anche per la norma nuovamente formulata si deve parlare di responsabilità contrattuale.

I princìpi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale la cui violazione innescherebbe la responsabilità non sono altro che la concretizzazione della diligenza applicata all’esercizio di un’attività professionale nell’adempimento dell’obbligazione, secondo il 1176.2 (che parla di “Diligenza nell’adempimento”: Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata).

Prima danneggiata è la società controllata.

Infatti la responsabilità così disciplinata trae origine dalla lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società controllata, la quale essendo titolare di questo risulta prima danneggiata.

E sarà, questa, responsabilità contrattuale, per il rapporto che si instaura mediante la partecipazione sociale della controllante nella controllata.

Ma è contrattuale anche la responsabilità nei confronti dei soci: in favore di costoro si deve parlare di una Schutzwirkung (azione protettiva) connessa con la partecipazione di controllo, che obbliga la controllante a fare in modo o quantomeno a non impedire alla controllata di non pregiudicare la redditività ed il valore della partecipazione sociale.

Non ricorrono invece gli stessi presupposti di protezione in favore dei creditori, perché non si può dire che il debitore abbia un obbligo giuridico in senso tecnico di salvaguardare il proprio patrimonio in funzione dell’interesse del creditore.

La tutela di quest’ultimo segue in via primaria altre vie, che sono quelle dei rimedi di realizzazione della garanzia patrimoniale.

L’azione di risarcimento dei creditori è extracontrattuale, non essendo di ostacolo in questo caso la natura puramente patrimoniale del danno, proprio per la specifica previsione legislativa contenuta nel nuovo 2497.

Si assume che la fattispecie del 2497.1, nel far parola di società ed enti che esercitano attività di direzione e coordinamento, abbia riconosciuto in pari tempo con l’idea del gruppo di società il controllo che all’interno di esso viene esercitato dalla capogruppo nei confronti delle società coordinate.

Si pone subito la questione di che cosa si debba intendere per direzione e coordinamento.

A mio avviso, in assenza di una formale definizione legislativa di tale figura, tali direzione e controllo devono essere esercitati secondo la fisiologia del diritto delle società, accreditando alla capo gruppo i poteri che ad essa sono propri in quanto azionista di maggioranza o di controllo.

Non pare corretto partire dall’assunto che la direzione e il coordinamento ai quali la legge fa riferimento siano concepibili come il potere che una società capogruppo in quanto tale sia in grado di esercitare sulle controllate: se questo accade sul piano del fatto, non si può sostenere che a tale situazione di fatto la legge abbia voluto fare riferimento.

Affermare perciò che “a essere fonte di responsabilità non è la direzione unitaria, ma il suo “abuso” (come dicono Gaetano Presti e Matteo Rescigno) risulta fuorviante, perché lascia presupporre un diritto ad esercitare il controllo in maniera che può essere non conforme alla disciplina societaria e tuttavia possa non essere abusivo.

In realtà l’abuso, nell’unica espressione normativa che se ne è formulata nel nostro ordinamento (contenuta nel 74.2 del Progetto di Codice civile), ma che mai ha visto la luce, trovava definizione come danno cagionato ad altri eccedendo, nell’esercizio del proprio diritto, i limiti posti dalla buona fede o dallo scopo per il quale il diritto gli fu riconosciuto.

Esso è perciò un fatto illecito nel quale l’esercizio del diritto, diversamente da quanto accade di regola, non funge da causa di giustificazione di una condotta imputabile che cagiona danno ad altri.

Dire che l’abuso non è consentito non significa altro che esercizio corretto del diritto: che è un truismo.

L’abuso di direzione non è altro che l’esercizio deviato dei poteri in cui questa si concretizza.

E dunque il controllo del gruppo esercitato in maniera difforme dalle regole del diritto societario realizza già di per sé quella violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime che il 2497.1 descrive come connotazione della condotta di direzione e coordinamento di società suscettibile di far nascere la responsabilità: ovviamente quando ricorra il danno o, come la norma lo delinea, la lesione all’integrità del patrimonio della società.

Se questa offesa all’integrità patrimoniale della controllata costituisce il danno per così dire primo dal quale la norma muove, sono due le considerazioni che immediatamente si impongono.

La prima è che essendo la società controllata il soggetto danneggiato dalla condotta appena descritta, si fa luce una lacuna della disciplina, che ha tralasciato la contemplazione del soggetto danneggiato in primo luogo e in ogni caso, in favore del quale manca la previsione dell’effetto risarcitorio.

La seconda è che il danno subìto dai soci per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale è un danno riflesso del quale la legge impone il risarcimento.

Analogamente riflesso è il danno dei creditori della società controllata.

La parte finale del I comma precisa che Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette.

È chiaro che se il danno “risulta mancante”, non può esservi responsabilità, ma è chiaro altresì che il termine di riferimento oggettivo (quali operazioni e quante) e temporale (a cominciare da quando e fino a quale momento) non può essere l’intera attività di direzione e coordinamento.

Un termine di riferimento di tal fatta rinvierebbe a tempo indeterminato il conteggio dei vantaggi e degli svantaggi della controllata imputabili alla controllante e perciò vanificherebbe la previsione stessa di responsabilità.

Deve perciò necessariamente ipotizzarsi un arco di riferimento oggettivo e temporale in relazione al quale misurare e valutare il risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento.

A tal fine l’interpretazione sistematica della disciplina suggerisce di rendere funzionale la disposizione del 2497-ter (Motivazione delle decisioni) a tenore del quale Le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione.

In queste ragioni e motivi deve riputarsi implicata l’indicazione precisa del punto d’avvio e di quello divisato come terminale dell’insieme di decisioni e di atti conseguenti.

Il 2497.2 sembra del tutto in linea col 2055 (Responsabilità solidale), nel momento in cui rende responsabili in solido tutti i soggetti partecipi del fatto di svuotamento del patrimonio della controllata.

Anche la formula che fa riferimento a chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio non è altro che una modalità del concorso che rende solidalmente responsabile chi ne è autore.

Anche un soggetto che non ponga in essere la condotta di impoverimento del patrimonio della controllata, quando consapevolmente ne tragga beneficio, è partecipe del fatto che genera il danno.

Se invece si tratta di arricchimento inconsapevole, la norma non è quella del 2497, ma la disciplina generale dell’arricchimento ingiustificato (2041 e 2042).

Lascia perplessi il 2497.3, a norma del quale la responsabilità viene neutralizzata se il socio e il creditore sociale che abbiano subìto danno sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento: lascia perplessi in quanto accolla alla società controllata, prima vittima danneggiata, il debito risarcitorio proprio della società controllante; per di più ulteriormente aggravando la perdita della controllata, in danno di ulteriori soci e creditori.

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