La mora automatica (mora ex re) ha luogo in tre ordini di ipotesi:

  1. obbligazioni derivanti da fatto illecito;
  2. dichiarazione scritta del debitore di non voler adempiere;
  3. mancata esecuzione, dopo la scadenza, dell’obbligazione portable, ossia della prestazione che deve eseguirsi al domicilio del creditore quale è il pagamento del debito liquido di denaro.

La costituzione in mora per intimazione o richiesta scritta è necessaria in tutte le altre ipotesi: vi è ricompreso l’intero genere delle obbligazioni querables e tra le obbligazioni portables, soltanto quelle in cui il termine scada dopo la morte del debitore, con la conseguente necessità che gi eredi, previa intimazione o richiesta scritta, siano posti in grado, di provvedere all’esecuzione dell’obbligo nel quale sono subentrati (1219 comma 2 e 3).

Nelle altre ipotesi di obbligazioni già scadute non vi è tuttavia ragione di escludere la prova del danno da ritardo, la quale è pur sempre possibile in base ai principi generali, sebbene non si producano tutti gli effetti che deriverebbero da un atto formale di costituzione in mora.

Resta da chiedersi su quali basi possa attribuirsi rilievo al semplice ritardo. Le massime della giurisprudenza, in apparenza conformi all’opinione che distingue il semplice ritardo dal ritardo qualificato come mora del debitore, sono state sottoposte a un severo vaglio critico. L’autonomo rilievo dell’inadempimento da semplice ritardo potrebbe ulteriormente ridursi, se si aderisse all’opinione secondo cui, ove sia presupposta dalla legge un’intimazione o richiesta ai fini della costituzione in mora, al requisito formale dovrebbe attribuirsi il minor rilievo possibile.

Certo, è significativo che nell’ordinamento tedesco, ove non esistano le basi testuali per distinguere il ritardo semplice dal ritardo qualificato, la letteratura e la giurisprudenza ammettano che l’intimazione possa essere  perfino surrogata da un comportamento concludente del creditore. L’autonomia dell’inadempimento derivante da semplice ritardo è meno controversa quando si proceda alla risoluzione del contratto per inadempimento.

La mora del debitore può aversi soltanto con riguardo a quelle ipotesi rispetto alle quali abbia senso prefigurare un’esecuzione inesatta a causa di un ritardo nell’inadempimento. La legge espressamente prevede che la situazione di mora non possa originarsi con riguardo alle obbligazioni di non fare (1222). Se l’imprenditore ha assunto l’obbligo di non fare concorrenza a un altro imprenditore, intraprende l’attività vietata, è palese che l’inadempimento non ha alcun rapporto con le modalità temporali dell’esecuzione dell’obbligo. Semmai è possibile una sorta di inadempimento parziale.

Difatti, l’attività contrastante con il contenuto omissivo della prestazione potrebbe cessare. E in tal caso potrebbe riprendere vigore l’interesse del creditore all’astensione dalla condotta. Nella giurisprudenza pratica si suole richiamare una sola pronuncia, la cui massima si riferisce alla diversa ipotesi dell’impossibilità non imputabile di adempiere l’obbligazione di non fare. C

ontro tale massima, la norma dell’art. 1222 non prevede una deroga alla possibilità che il debitore si liberi invocando un’impossibilità non imputabile di adempiere, sebbene possa condividersi, nelle circostanze del fatto, la soluzione del caso di specie. I presupposti per la costituzione in mora variano a seconda che tale situazione abbia a prodursi in via automatica ovvero sia necessaria un’intimazione o richiesta scritta.

Un’intimazione o richiesta anticipata non è priva di rilievo giuridico, ma gli effetti della costituzione in mora si producono soltanto dalla scadenza del debito, che è anche la data da cui decorre la situazione di mora nel caso di obbligazioni portable. La richiesta del creditore (intimazione) si presenta come un atto volontario e unilaterale, rispetto al quale è indifferente l’intento del creditore di provocare gli effetti tipici della situazione di mora.

Può darsi che il creditore intenda limitarsi a sollecitare il debitore affinché adempia: gli effetti della mora si producono ugualmente se la dichiarazione è in tal senso non equivoca e indica con sufficiente certezza l’entità delle prestazione dovuta. Si richiede il requisito formale della scrittura a cui talvolta è stata attribuita soltanto una funzione probatoria, sebbene la legge non offra appigli decisivi per una simile interpretazione.

È unanime il riconoscimento del carattere unilaterale della dichiarazione e della sua natura ricettizia. È necessario che l’atto sia indirizzato al legittimo destinatario, né rileva la conoscenza comunque acquisita da quest’ultimo. Il problema si è posto soprattutto con riguardo al caso dell’indirizzo della richiesta al debitore incapace e non al suo rappresentante; e si afferma che non è sufficiente la prova che il domicilio del debitore è il medesimo del rappresentante legale. La dichiarazione del debitore, di non voler adempiere, deve essere successiva alla scadenza dell’obbligazione, eseguita con atto scritto e sorretta da precisa manifestazione di volontà negativa (cioè l’intento di non voler adempiere).

Un’eventuale dichiarazione di potere eseguire la prestazione rientra nei comportamenti relativi alla relazione reciproca tra il debitore e il creditore. È ancora oggetto di discussione il problema dell’eventuale rilevanza di una manifestazione di non voler adempiere che non presenti i caratteri legalmente richiesti. L’unica ricostruzione compatibile con il sistema inquadra il fenomeno nell’ambito della relazione dei correttezza tra le parti: il debitore, alla scadenza, è pur sempre libero di ripensarci e di offrire l’adempimento; ma del suo comportamento contraddittorio potrà tenersi conto nelle circostanze del caso, allo scopo di evitare che si risolva in un pregiudizio per il creditore.

Le ipotesi in cui il debitore si avvale di un diritto che la legge gli conferisce a tutela della sua concorrente posizione di creditore nel contesto di un rapporto con prestazioni corrispettive, sono nettamente distinte da quelle esaminate.

 

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