Molto più idoneo a fondarla sarebbe stato il riferimento al 1338 (Conoscenza delle cause d’invalidità), nel quale si trova già tutto intero il criterio della lesione dell’affidamento incolpevole di un destinatario ragionevolmente prevedibile, come lo ha voluto individuare lo stesso Francesco Donato Busnelli.

{Peraltro, la sola prevedibilità si rivela non più sufficiente, come commenta Christian von Bar a proposito della sentenza della House of Lords in Caparo Industries plc v. Dickman and others, [1990], con la quale si instaura ein neuer konservativer Trend in materia di economic loss, danno meramente patrimoniale, subìto da terzi a causa di un’attività professionale negligente: nella specie, un’analisi di bilancio negligentemente non veritiera, condotta da una società di revisione.

Il caso esaminato mette in luce l’illusorietà di una responsabilità che si voglia affermare sull’assunto di un semplice dovere di diligenza: quest’ultimo si rivela troppo generico ed abbisogna di diventare obbligo specifico: ma questo segna il passaggio alla responsabilità contrattuale}.

Questo riferimento, usato in funzione meramente strumentale e di passaggio verso il 5.1 d.p.r. 224/1988 [Prodotto difettoso], costituisce un’occasione mancata.

Ma se ne comprende la ragione quando si legge che, quando si esce “dai sicuri argini dell’art. 1338”, riguardanti la responsabilità di una “parte” nei confronti dell’“altra parte”, si dovrebbe necessariamente “trascorrere […] all’indistinta previsione della regola generale dell’art. 2043 [Risarcimento per fatto illecito]” (Francesco Donato Busnelli).

Questa tesi fa capo all’idea della responsabilità precontrattuale species di quella aquiliana, che la dottrina propria non condivide più {così, ad es., Claudio Turco e Francesco Benfatti}.
Inoltre questa tesi è viziata in radice dall’incomprensione dell’origine storica della culpa in contrahendo e dall’inspiegabilità, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, di due norme come gli artt. 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale) e 1338 (Conoscenza delle cause d’invalidità).

Sotto il primo profilo, l’incomprensione dell’origine storica della culpa in contrahendo, non metteva conto individuare una categoria autonoma se si fosse trattato solo di dichiararne il completo rifluire nella responsabilità aquiliana.

Sotto il secondo profilo, l’inspiegabilità nell’ordinamento italiano di due norme come il 1337 ed il 1338, rileva l’incapacità di spiegare perché, se veramente si tratta di responsabilità aquiliana, il legislatore abbia dovuto dedicare altre due norme a ciò che sarebbe già contenuto nel 2043.

La vicenda storica e la ricostruzione dogmatica forniscono infine la spiegazione.

E così come il 1337 (Trattative e responsabilità precontrattuale) generalizza in obbligo di comportarsi secondo buona fede lo specifico obbligo di comunicare all’altra parte le cause di invalidità del contratto di cui al 1338 (Conoscenza delle cause d’invalidità), la violazione dell’obbligo che nell’una e nell’altra ipotesi dà vita alla responsabilità precontrattuale denota, come ha insegnato Luigi Mengoni, l’ascriversi di essa al novero della responsabilità contrattuale come responsabilità da violazione di obblighi.

In prospettiva ulteriore gli artt. 1337 e 1338, altro che essere un’inutile ripetizione del 2043, denotano come ogni volta che si crei un affidamento nasca un preciso obbligo di comportamento.

Esso, in quanto obbligo, si qualifica rispetto al generico dovere di diligenza gravante su tutti i consociati rispetto alla generalità dei soggetti, ed ascrive il danno che eventualmente ne consegua alla responsabilità contrattuale.

Rudolf von Jhering affermava la natura contrattuale della responsabilità derivante da false asserzioni ed informazioni fornite in sede di trattative, spiegandone la diversità di fonte rispetto alla responsabilità extracontrattuale ed in pari tempo di contenuto.

La responsabilità contrattuale riguarda non solo i rapporti ex contractu già sorti, ma anche quelli in via di formazione.

Nei rapporti extracontrattuali colui che riceve l’informazione non deve affidarsi colpevolmente ad essa, mentre nei rapporti contrattuali sta invece a chi fornisce l’informazione “garantirne” la bontà.

Non si tratta allora di creare un tertium genus, né di affermare una tutela contrattuale forte rispetto ad una tutela extracontrattuale debole, ma piuttosto di chiamare le cose col loro nome.

I nomi non possono essere usati in funzione di mascheratura, facendone balenare significati che in realtà sono altri, come quando si dice extracontrattuale la responsabilità da informazioni inesatte, per aggiungere immediatamente che essa, per i “suoi profili di peculiarità, non si discosta sensibilmente, quanto a criteri di responsabilità e a modalità di tutela, dalla responsabilità [contrattuale] da inadempimento di un obbligo [contrattuale o legale] di informazioni” (Francesco Donato Busnelli).

{Questo “contrattuale” che diventa inopinatamente extracontrattuale sembra echeggiare un atteggiamento che si coglie nell’affermazione di Lord Patrick Arthur Devlin in Hedley Byrne & Co. v. Heller Partners Ltd., 1963, secondo cui le categorie degli speciali rapporti che possono dare vita al dovere di prestare diligenza comprendono anche i rapporti che sono equivalenti al contract, cioè quelli in cui vi è un’assunzione di responsabilità in circostanze tali che, se non mancasse la consideration, vi sarebbe un contract}.

Per evitare quella che finisce con l’essere una contraddizione, sarebbe stato sufficiente riflettere su un’altra conseguenza alla quale gli stessi “rilevanti profili di peculiarità” portavano di per sé: la necessità di “un adattamento alle […] peculiarità del criterio dell’ingiustizia del danno”.

L’ingiustizia del danno è infatti scritta nella legge e richiede di essere intesa per ciò che significa, non di essere adattata.

La via di fuga in una rimodellatura non consentita all’interprete può apparire l’unica possibile quando si parta dall’idea che “nella maggior parte dei casi […] di informazioni commerciali non si stipulano regolamenti negoziali”, e dunque si apre “un’area nella quale trova applicazione sicura l’art. 2043 (Guido Alpa).

La conseguenza però può apparire necessitata solo ove si faccia coincidere l’area della responsabilità contrattuale con quella del contratto come atto di volontà, ma quest’idea risulta in contrasto con l’esistenza di obblighi di origine non contrattuale, alla cui violazione da sempre la nostra dottrina attribuisce natura contrattuale nel significato sinonimico di obbligatoria, come accade in altre letterature.

La divergenza però va oltre questo punto.

Quando si richiama a fondamento della responsabilità extracontrattuale da informazioni non veritiere l’affidamento incolpevole, sottolineando che “deve trattarsi di una «situazione di affidamento oggettivamente valutabile, che vale a giustificare la fiducia… nella regolarità del comportamento altrui»” (Francesco Donato Busnelli, che richiama Luigi Mengoni), si attinge in maniera non dichiarata la sovrapposizione tra responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana, concretizzando l’assunto secondo il quale la prima sarebbe species della seconda.

In favore di tale esito si adduce tuttavia solo la considerazione che la reductio ad unum che si realizzerebbe all’insegna della responsabilità aquiliana tende a raccogliere sempre nuovi consensi.

Ma se all’indistinguibilità fra contratto e torto si può dire di essere giunti in materia di informazioni inesatte provenienti da soggetti professionali e, più in generale, di responsabilità professionale, altro che al torto, è al contratto che in realtà si è approdati, cioè alla responsabilità derivante dalla violazione di un vinculum iuris.

La responsabilità da informazioni inesatte che offendano l’affidamento altrui in diritto civile non evoca la categoria dell’interesse legittimo (così Francesco Donato Busnelli), ma quella dell’obbligo.

 

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