Altra tematica di recente soluzione è quella relativa alla individuazione della quota di riserva del legittimario nella ipotesi in cui altro legittimario non intenda esperire la azione di riduzione, ovvero rinunzi all’eredità. Si è già detto di come la quota di riserva sia una quota mobile, modificabile a seconda del numero e della natura dei legittimari esistenti, addirittura subordinando la natura di legittimario dell’ascendente alla sola assenza di discendenti.

 In linea di massima,  presupponendo che la successione necessaria altro non sarebbe se non una successione che si attua contro la volontà del de cuius, si dovrebbe ritenere applicabile l’art. 522 c.c., secondo il quale la parte di colui che rinunzia all’eredità si accresce a coloro che avrebbero concorso con il rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salva, altresì, la ipotesi di ulteriori ascendenti.

L’orientamento tradizionalmente seguito dalla Corte di cassazione, riteneva l’operatività retroattiva dell’art. 521/1c, a mente del quale chi rinunzia alla eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato, concludendo nel senso che in presenza di rinuncia alla eredità si doveva necessariamente procedere al nuovo calcolo delle quote di legittima.

 Pertanto, per la effettiva determinazione della quota di riserva spettante ai discendenti in relazione alle varie ipotesi di concorso con altri legittimari, si riteneva che non dovesse effettuarsi alcun riferimento alla situazione teorica al momento dell’apertura della successione, rilevando la sola situazione concreta degli eredi legittimi che, in linea effettiva, vengano a concorrere alla ripartizione dell’asse ereditario.

Da ciò derivava, facendo un esempio, che qualora il coniuge superstite rinunci alla propria qualità di erede, oppure accetta un legato in sostituzione della legittima (art. 551 cc), la quota di legittima dei figli debba determinarsi non con riferimento all’art. 542 che delinea il concorso del coniuge con i figli, bensì dall’art. 537 cc. relativo alla successione dei soli figli.

 Altro diverso orientamento, però, veniva ad essere espresso da una più recente pronuncia, la quale, riprendendo precedenti arresti già emersi negli anni ’70 –35-, ha precisato come l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria debba essere effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

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Cass. Civ., sez. II; 11 febbraio 1995, n. 1529, in Giust,. Civ., 1995, 2117, con nota di DI MAURO, Effetti della rinunzia alla legittima da parte di uno degli eredi necessari: rideterminazione delle quote di riserva o accrescimento?

 Cass. Civ., sez. II; 28 novembre 1978, n. 5611, secondo la quale “Il diritto alla reintegrazione della propria quota, vantato da ciascun legittimario, è autonomo nei confronti dell’analogo diritto degli altri legittimari: ne consegue che il giudicato sull’azione di riduzione promossa da uno di essi non può avere l’effetto di operare direttamente la reintegrazione settante agli altri legittimari che abbiano preferito, pur essendo presenti nel processo, rimanere per questa parte inattivi”.

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 La Corte, nel giungere a tale diversa considerazione, rilevava come fosse da ritenere inopportuno, il richiamo svolto da dottrina e giurisprudenza tradizionali agli artt. 521 e 522 c.c., dettati nell’ambito della diversa successione legittima.

Si osserva, infatti che nella successione legittima, l’effetto retroattivo della rinuncia di uno dei chiamati, cui segue l’accrescimento in favore degli accettanti trova spiegazione logica nella circostanza di dover, comunque, individuare la sorte della quota del rinunciante che deve necessariamente accrescersi agli altri per evitare di divenire res nullius.

 La situazione, risulta, al contrario, differente con riferimento alla successione necessaria.

In tale ipotesi, infatti, il legislatore ha statuito in modo di garantire ad ognuno del legittimari una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di quest’ultimo.

Pertanto, mancando la chiamata alla eredità da parte del de cuius in favore del legittimario,

– da un lato, cade il presupposto logico di un teorico accrescimento, e,

– dall’altro, si eliminano le incertezze in ordine alla sorte della quota a questi teoricamente spettante per la ipotesi in cui non eserciti l’azione di riduzione, posto che rimangono ferme le elargizioni decise dal de cuius medesimo, così consentendosi ai donatari ovvero agli eredi e ai legatari di conservare una porzione dei beni maggiore di quella, fissata dalla legge, della quale il de cuius avrebbe potuto disporre.

 Sempre la Corte, precisa come la teoria fino a quel momento seguita trovava ulteriore ostacolo nella formulazione degli artt. 537/1c, art. 538/1c e nell’art. 542, I e II comma, laddove il continuo utilizzo del termine “lascia” impone di considerare, ai fini del calcolo della porzione di riserva, la situazione esistente al momento dell’apertura della successione.

Ancor più pregnante è la considerazione della Corte secondo la quale la tesi appariva in contrasto con la ratio ispiratrice della successione necessaria, che si individua non solo in quella di garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma altresì nella necessità di consentire allo stesso di conoscere, in considerazione della composizione della propria famiglia, i limiti entro i quali può disporre del suo patrimonio senza intaccare i diritti dei legittimari.

Sembra pertanto chiaro che si applica il principio secondo il quale ai fini della individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per  rinunzia o prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

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