Il denaro è comunemente inteso quale misuratore di valori e quale strumento o mezzo di scambio. Ove si accentui nel denaro la funzione di “moneta di conto” si evidenzia l’attitudine del denaro ad essere il generale parametro secondo il quale si misura il valore di beni o l’ammontare di debiti. Ove invece si ravvisi nel denaro la funzione di essere uno strumento di scambio, si guarda evidentemente al denaro come merce. A ben riflettere le diverse accezioni di denaro hanno influenzato le dottrine sulle obbligazioni pecuniarie, accentuando più o meno il distacco di queste ultime dalle obbligazioni di cose. Le regole in astratto concorrono a risolvere i conflitti che possono sorgere con riguardo all’uso del denaro sono quelle di “appartenenza” e di “distribuzione”. Occorre riflettere sul fatto che regole astratte di appartenenza presupporrebbero che il denaro possa essere considerato quale cosa che può formare oggetto di diritto e ciò ai sensi della regola di cui all’art. 810, mentre, con riguardo al denaro, è proprio l’ancoraggio ad una cosa ad essere opinabile.

Nel codice tedesco è detto espressamente che cose nel senso della legge sono solo gli oggetti corporali. Non si tratta di insistere sul carattere intrinsecamente fungibile del denaro quanto sul fatto che esso, come entità, non rileva di per sé per la sua consistenza materiale ma in quanto simbolo o segno di un astratto potere patrimoniale. Secondo taluno il massimo di tutela che l’ordinamento può offrire a chi detenga legittimamente banconote corrisponde in parte alla tutela possessoria e non alla tutela proprietaria.

Resta quale vantaggio che l’applicazione delle regole possessorie sarebbe in funzione della protezione dei terzi possessori di buona fede (1153) e quindi alla più agevole circolazione del denaro, senza impacci dovuti all’applicazione delle regole proprietarie. Ma ad una applicazione di regole siffatta osterebbe il fatto che il denaro è insofferente a figurare quale oggetto di vicende traslative, come qualsiasi altro bene mobile, ma di traditio meramente materiale.

Insomma, la detenzione, pur illegittima di somma, non sembra possa essere rei-perseguita sul terreno della tutela possessoria né condizionare l’efficacia dei pagamenti. Eppure, anche in scritti significativi si è sempre prospettata l’esigenza che la tutela del denaro non fosse solo quella assicurata ai creditori di somme ma anche a coloro che tali somme già detengono nel loro patrimonio e che aspirano a difenderle verso l’esterno. L’idea di fondo è che il denaro, se non oggetto di proprietà, come un qualsiasi altro bene, è tuttavia parte e\o oggetto del patrimonio e, come tale suscettibile di tutela in astratto come lo è il patrimonio o parti di esso.

Ove si riconoscesse che anche le somme di denaro possono essere oggetto di considerazioni in termini di spettanza o di appartenenza, in quanto entità depositarie di valori, e quindi non solo quali somme dovute, si otterrebbero risultati operativi nella direzione di una effettiva tutela di coloro che quelle somme debbono essere riconosciuti sostanzialmente proprietari e non meri creditori. Lungo la via che porta a tale risultato vi è una estensione della tutela rei-persecutoria anche ad entità che non si rapportano a cose corporali et similia.

Il denaro si presenta alla soglia dei contratti pressoché esclusivamente quale sub specie di obbligazione o di debito. Anche questo è il risvolto della difficoltà ad accostare il denaro alle cose. La difficoltà sistematica e pratica di concepire una tutela rei-persecutoria della somma di denaro trova conferma anche per il diritto dei contratti. La qualificazione del denaro nella veste di interesse quale frutto civile della res potrebbe testimoniare del contrario, o meglio della possibilità che il denaro figuri appartenente a taluno e che da esso derivino frutti, appunto sub specie di interessi a favore del proprietario, così come frutti derivano dalla cosa mobile e\o immobile.

Mentre nel codice ottocentesco gli interessi dei capitali rappresentavano i frutti civili che si ottengono per “occasione della cosa”, il codice vigente fa menzione del corrispettivo del godimento dei capitali, con ciò alludendo alla vera e propria regola operazionale ivi sottesa, ove la spettanza dell’interesse è in funzione di corrispettivo del godimento dato ad altri del capitale. La “evaporazione” della regola di appartenenza fa sì che l’interesse figuri quale credito del titolare della somma di denaro, la cui soddisfazione è sottoposta alla regola del concorso degli altri creditori (2741) e al principio generale della responsabilità patrimoniale del comune debitore (2740).

I maggiori problemi giuridici della moneta si incentrano proprio, oltre che sulla qualità di mezzo di pagamento della stessa, sul divario di valore che può intervenire nel lasso di tempo che può intercorrere tra la nascita del debito e la sua soddisfazione. L’obbligazione pecuniaria, per definizione, è proprio l’espressione di una situazione che può definirsi di “moneta sospesa” ossia del trascorrere da mezzo di acquisto a mezzo di pagamento. Il fattore temporale è quello che distingue i due aspetti.

Lascia un commento