Il rifiuto di adempiere o la sospensione dell’esecuzione della prestazione sono l’oggetto di altrettanti diritti di natura potestativa, il cui esercizio integra gli estremi di una speciale autotutela del creditore. La prima ipotesi ricorre nel caso in cui le prestazioni debbano eseguirsi contestualmente: di fronte al mancato adempimento il creditore si cautela rifiutando di eseguire la prestazione da lui dovuta.

Diversi sono i presupposti della seconda ipotesi, che pure rientra nelle ipotesi di tutela conservativa della posizione di una delle parti di un rapporto con prestazioni corrispettive: peggioramento delle condizioni patrimoniali di un contraente prima della scadenza del termine; previsione di termini di scadenza diversi per l’adempimento delle prestazioni contrapposte.

La parte, la cui prestazione scada prima, di fronte all’insolvenza ha diritto di sospendere l’esecuzione della propria prestazione fino alla scadenza del contrapposto obbligo. Alla scadenza si applicherà la regola per cui le parti saranno tenute ad adempiere; se la parte non proceda all’offerta, il creditore, che si è avvalso della sospensione di cui all’art. 1461, potrà persistere nel suo atteggiamento di rifiuto, salva la facoltà di recedere secondo le regole generali.

Il primo degli effetti della mora è il passaggio del rischio dal creditore al debitore (1221) nel caso in cui la prestazione sia divenuta impossibile, dopo la mora, per una causa non imputabile al debitore. Alla prestazione divenuta impossibile subentra l’obbligo di risarcire il danno. Soltanto in questi termini può parlarsi di una sorta di forzato prolungamento del rapporto.

La cosa perisce a carico del debitore in virtù di un effetto legale che dipende bensì dalla situazione di mora ma non si spiega sulla base di un’imputabilità che nascerebbe all’atto dell’inadempimento derivante dal ritardo e si propagherebbe fino all’evento da cui deriva l’impossibilità della prestazione. Tale deroga al principio generale “res perit creditori” non è assoluta; ma il limite previsto si riferisce a ipotesi non molto consuete e comporta un gravoso onere probatorio per il debitore. Costui è liberato ove riesca a dimostrare che, se l’adempimento fosse stato tempestivo e se la cosa fosse entrata nella disponibilità del creditore, quest’ultima sarebbe ugualmente perita presso di lui (1221).

La prova è parsa diabolica per due ordini di motivi: la necessità di rifarsi a eventi impeditivi fortuiti del tutto eccezionali; l’esigenza di dimostrare che il creditore non avrebbe disposto della cosa in altro modo se avesse conseguito per tempo l’oggetto della prestazione. Anche questa eccezionale prova liberatoria è preclusa, allo scopo di sanzionare più severamente l’autore di un furto, se la prestazione sia costituita dalla consegna di una cosa illecitamente sottratta: l’obbligo della restituzione del valore della cosa, insieme con l’obbligo di risarcire i danni, resta fermo, quale che sia il modo del perimento o dello smarrimento della cosa.

Gli altri effetti della situazione di mora del debitore sono costituiti dal risarcimento del danno e dalla necessità che il debitore corrisponda al creditore gli interessi dal giorno della mora (1224). La mora del debitore può essere impedita da una tempestiva offerta anche non formale della prestazione dovuta (1220); può aver fine: per il verificarsi di una causa estintiva dell’obbligazione; per un atto dispositivo del creditore.

In primo luogo, può evitarsi la mora, se il debitore proceda tempestivamente a un’offerta non formale della prestazione. E la stessa offerta, se successiva, fa cessare per il futuro gli effetti già prodotti. La regola della correttezza si specifica in quest’ordine d’ipotesi con riguardo a fattori strettamente inerenti alla prestazione dovuta. Nel caso dell’offerta di cui all’art. 1220 si tratta di evitare, in quel lasso di tempo che secondo buona fede deve essere concesso al debitore pur dopo la richiesta, che costui subisca gli effetti negativi della mora.

Il rifiuto del creditore è giustificato soltanto se il motivo legittimo si riferisce a un elemento che influisce sull’esattezza dell’adempimento. Il creditore il quale non intenda accettare per un motivo legittimo l’offerta diretta a costituirlo in mora, potrebbe invocare, alla stregua della correttezza, circostanze estranee all’esattezza dell’offerta. A maggior ragione, la situazione di mora può porre fine un adempimento tardivo, purché la prestazione ricomprenda anche il risarcimento del danno che si è prodotto in conseguenza del ritardo.

Su di un piano nettamente diverso si pone l’estinzione della mora per atto dispositivo del creditore. Si tratta delle ipotesi in cui il creditore decida, con atto di rinuncia, di far cessare gli effetti della mora dal momento in cui la situazione si è prodotta (remissione in termini, con efficacia retroattiva). La distinzione tra le due ipotesi è chiara: nel primo la fine avviene per cause normali e senza effetto retroattivo; nell’altro è cancellata l’intera situazione nel suo complesso e alla fine si aggiunge eccezionalmente una soppressione della situazione giuridica pregressa.

L’inadempimento dovuto a tardiva o difettosa esecuzione della prestazione può distinguersi dall’inadempimento dovuto alla definitiva e totale mancanza dell’esecuzione, soprattutto ai fini del risarcimento del danno e particolarmente ai fini della sua determinazione. Dall’inadempimento si distingue il mancato adempimento dovuto a un’impossibilità sopravvenuta derivante da causa non imputabile al debitore ovvero il mancato adempimento che sia altrimenti giustificato per legge.

Resta da chiedersi se non vi siano ipotesi in cui il debitore risponda contrattualmente del mancato adempimento senza neppure poter invocare un’impossibilità derivante da causa a lui non imputabile. In tal linea è stata talvolta esaminata, tra molti contrasti, anche la disciplina che il codice detta con riguardo alla responsabilità del debitore per fatto degli ausiliari (1228).

 

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