I soggetti privati che risultino offesi in uno dei diritti riconosciuti ad essi dagli ordinamenti nazionali possono far valere il danno che sia in pari tempo ad essi derivato dall’attività lesiva dell’ambiente.
La direttiva infatti sul punto tiene ferma la pertinente legislazione nazionale.
Qui si innesta il problema relativo a quale danno sia da ritenersi risarcibile per i soggetti privati, secondo l’ordinamento interno, quando si sia verificato un disastro ambientale.
Paradossalmente, un’indicazione precisa sul punto ce la fornisce il Considerando 14 della direttiva, nel momento in cui ci dice che la stessa non si applica ai casi di lesioni personali, al danno alla proprietà privata o alle perdite economiche e non pregiudica qualsiasi diritto concernente questi tipi di danni.
Ora, poiché anche il 18 l. 349/1986 non dà vita a diritti di soggetti privati che abbiano subìto danno in conseguenza dell’offesa all’ambiente, sia questa norma che la direttiva rinviano questi ultimi alla disciplina generale della responsabilità civile, in primo luogo al 2043 (Risarcimento per fatto illecito).
Mentre per la lesione della persona e dei diritti patrimoniali tale disciplina non frappone alcun ostacolo alla responsabilità, essa ripropone la questione del danno meramente patrimoniale (o perdite economiche, come le chiama la direttiva), che, non essendo qualificato dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, sembra privo dell’ingiustizia che il 2043 esige come requisito necessario perché il danno diventi giuridicamente rilevante.
I più gravi disastri ecologici che la cronaca spesso ci mette davanti han messo in luce i riflessi patrimoniali negativi che soggetti privati viventi ed operanti nel tessuto ambientale che risulta violato subiscono in maniera talora altamente drammatica.
I fruitori più diretti dell’habitat distrutto hanno ragioni del tutto plausibili per invocare tutela.
Ma quale tutela?
La disciplina giuridica che eleva l’ambiente a bene giuridico tutelato lo intesta in pari tempo agli stati o ad altri enti territoriali, e ciò vale ancor di più nel contesto internazionale, dove solo gli stati appaiono provvisti di una soggettività che fornisca base alla titolarità del bene in questione.
{Il precedente sul punto nel nostro ordinamento è costituito dalla vicenda di una petroliera che, in seguito a collisione, riversò grandi quantità di petrolio nello stretto di Messina.
App. Messina 30 marzo 1989, facendo riferimento alla Convenzione di Bruxelles 29 novembre 1969, affermò che la legittimazione spetta esclusivamente allo Stato.
Conseguentemente la stessa Corte, con decisione successiva (App. Messina 24 dicembre 1993), liquidò il danno conseguente all’infrazione dell’ecosistema marino ed in particolare quello relativo alla pesca mancata, in favore del Ministero della marina mercantile}.
In merito la direttiva CE 35/2004 prevede all’11 che Gli Stati membri designano l’autorità competente o le autorità competenti ai fini dell’esecuzione dei compiti previsti dalla direttiva stessa, mentre il 10, nel prevedere il termine di prescrizione (5 anni) entro il quale è possibile reagire al danno ambientale, attribuisce all’autorità competente la legittimazione ad avviare, nei confronti di un operatore o, se del caso, del terzo che ha causato il danno o la minaccia imminente di danno, i procedimenti per il recupero dei costi relativi a misure adottate conformemente alla […] direttiva.
D’altra parte i soggetti privati che non siano titolari di situazioni giuridiche reali innestate nel territorio interessato dall’alterazione ambientale non appaiono titolari di altri diritti la cui tutela possa esser messa in presa diretta con la lesione dell’ambiente.
È la loro attività economica ad essere impedita od il loro benessere ambientale ad esser gravemente vulnerato.
Tale esito appare ancora più drastico nei confronti dei portatori di interessi non patrimoniali ma difficilmente ancorabili ad un diritto della persona: si pensi a coloro che passano abitualmente un periodo di vacanza in un luogo particolarmente indicato per gli effetti salutari del soggiorno.
Il fatto che sia la l. 349/1986 che la dir. CE 35/2004 attribuiscano diritti di ristoro solo allo Stato, con la considerazione che quello subìto dai soggetti privati è un danno meramente patrimoniale, sembra deporre proprio per l’irrilevanza di quest’ultimo.
L’intestazione dell’ambiente allo Stato mette poi in luce come una pretesa risarcitoria di soggetti privati si riferisca ad un danno mediato, che consegue alla lesione di una situazione soggettiva altrui (quella dello Stato), alla quale per definizione non si accompagna – altrimenti non parleremmo di danno meramente patrimoniale – la lesione di un diritto in capo a colui (il soggetto privato) che faccia pur valere una perdita subita.
Come abbiamo rilevato nel caso De Chirico, il danno meramente patrimoniale che, oltre alla mancanza della lesione esigita dall’ingiustizia, si configura come danno indiretto, ulteriormente si qualifica per la non risarcibilità.
Né ad ovviare alla difficoltà può invocarsi la perdità di chance, nella quale in astratto può inquadrarsi il danno dei privati conseguente alla violazione dell’ambiente come figura in grado di consentire il risarcimento.
Essa, infatti, è solo un modo per giustificare il risarcimento di un danno meramente patrimoniale caratterizzato da un certo grado di probabilità, sicché non si sottrae alle obiezioni che affliggono quest’ultimo.
Più specificamente si tratta del mancato conseguimento di un vantaggio, di un lucro cessante ipotetico, del quale si può legittimamente chiedere se sia risarcibile a prescindere da un danno emergente.
Poiché quest’ultimo è la conseguenza immediata e diretta della lesione del diritto, il solo lucro cessante mette in luce dalla prospettiva del danno risarcibile lo stesso ammanco che il difetto di situazione soggettiva offesa dalla lesione mette in luce dalla prospettiva della fattispecie.
{Non si tratta perciò di una questione puramente classificatoria, come adombra Maria Dominique Enza Feola}.
Perciò sembra azzardato affermare, come invece ha fatto la Cassazione (6506/1985), che la chance o probabilità (vale a dire effettiva e congrua possibilità di conseguire un bene) è anch’essa un bene patrimoniale la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile tutto che (sic!) ne sia provata la sussistenza.
Altra cosa è il lucro cessante conseguente alla lesione di una situazione soggettiva del medesimo titolare, come nei normali casi di lesione della salute che comprometta la capacità di guadagno del danneggiato: in questi il lucro cessante non pencola nel vuoto, ma, come richiede il 1223 (Risarcimento del danno), si colloca in esito ad un danno emergente e va risarcito.
Diversa ancora è la questione della perdita di una possibilità di cura o di sopravvivenza.
Nella responsabilità contrattuale, diversamente che dalla responsabilità aquiliana, l’inadempimento è come tale fonte di responsabilità, onde il danno che ne consegue, non appoggiandosi sulla lesione di una situazione soggettiva, sarà risarcibile alla sola condizione che si tratti di conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento.
Oltre a ciò, nella responsabilità contrattuale, e nella prestazione medica ed in genere in quella professionale, la responsabilità sarà affermata facendo perno non tanto sul piano del danno risarcibile quanto piuttosto sull’accertamento dell’inadempimento, sia che si tratti dell’obbligo di prestazione sia che ricorra un rapporto obbligatorio senza obbligo di prestazione.
Non è tanto la perdita di un’occasione favorevole a venir risarcita, quanto la mancanza del risultato dovuto come conseguenza dell’inadempimento.
{Anche la prestazione d’opera intellettuale, e così quella medica, come ogni obbligazione, è volta ad un risultato, come ci insegnava Luigi Mengoni, sulle orme di Heinrich Siber}.
La soluzione del problema potrebbe allora esser cercata altrove.
Il danno all’ambiente finisce col coincidere con quelle offese all’ambiente che l’ordinamento assume ad oggetto di sanzione penale.
Il 185 c.p. (Restituzioni e risarcimento del danno), partendo da un’offesa all’ambiente che costituisce reato, innesca il diritto al risarcimento di coloro che abbiano subìto una perdita che si configuri in esito ad una condotta penalmente rilevante.
Non occorre ipotizzare a tal fine la plurioffensività del reato ambientale come qualificazione giuridica posta a presidio, oltre che del bene giuridico di natura pubblica, anche della sfera giuridica di soggetti privati.
La Cassazione (4186/1998) ha chiarito che va fatta distinzione tra persona offesa dal reato e danneggiato civile, traendone la conseguenza che quest’ultimo ha diritto al risarcimento del danno che gli sia derivato da un fatto costituente reato anche quando non sia la vittima del reato stesso.
Seguendo tale traiettoria è possibile pervenire al risarcimento di coloro che, in quanto fruitori diretti dell’ambiente danneggiato, abbiano subìto un danno meramente patrimoniale in conseguenza della lesione arrecata all’ambiente.
La violazione della norma penale consente, in forza del 185 c.p. (Restituzioni e risarcimento del danno), di superare la difficoltà che affligge in generale il danno meramente patrimoniale e che è costituita dall’essere quest’ultimo conseguenza mediata di una lesione precedente, cosa che alla luce del 1223 (Risarcimento del danno) pone subito il danno in questione oltre i confini della risarcibilità.
La Cassazione (S.U. 2515/2002) è pervenuta al risultato di risarcibilità del danno subito da soggetti privati di riflesso del danno all’ambiente sfruttando lo schema del reato plurioffensivo in materia di disastro colposo, in quanto con l’offesa al bene pubblico […] dell’ambiente […] concorre sempre l’offesa per quei soggetti singoli i quali, per la loro relazione con un determinato habitat […] patiscono un pericolo astratto di attentato alla loro sfera individuale.
Ma risulta difficile determinare il danno risarcibile, a fermarsi al pericolo astratto.
Il danno risarcibile nella realtà è costituito dalle perdite patrimoniali e non patrimoniali conseguenti al reato, per il ristoro delle quali il 185 c.p. consente di fare a meno del reato plurioffensivo.