Un’applicazione dei principi che governano la comunione è nel condominio di edifici, la cui particolarità consiste nel fatto che le cose in proprietà comune (elencate dall’art. 1117 c.c.) sono destinate al servizio delle cose in proprietà individuale, in rapporto di strumentalità. Il secondo criterio distintivo po si ritrova nella indivisibilità.
Il codice non indica in termini di quota il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, ma afferma che esso è proporzionato al valore di piano o porzione di piano che gli appartiene, se il titolo non dispone altrimenti (art. 1118 c.c.). La quota rappresenta il termine di riferimento di vicende traslative. Diversamente il diritto che il condomino ha sulle parti comuni dell’edificio non può essere oggetto di un autonomo atto di disposizione ed è trasferito solo unitamente al piano o porzione di piano che appartiene al condomino.
Nel condominio i criteri di organizzazione dell’amministrazione sembrano assumere un ruolo di maggiore evidenza come testimonia l’inserimento nella struttura: 1) di una stabile assemblea con finalità di amministrazione; 2) della figura dell’amministratore munito di rappresentanza. Questa organizzazione interna di poteri è esclusivamente destinata ad assicurare la funzione strumentale delle parti comuni dell’edificio all’uso e godimento dei piani o delle porzioni di piano di ciascun condomino e trova il suo limite nell’intangibilità dei diritti inerenti alla proprietà solitaria dei piani o porzioni di piano.
La struttura del condominio sembra condurre verso una specie di dissociazione tra organizzazione della gestione e persona del condominio per l’indifferenza delle competenze individuali di quest’ultimo al rapporto gestorio. Questo probabilmente spiega la tesi di chi tende ad attribuire alle deliberazioni dell’assemblea il significato di una manifestazione collettiva di volontà da non confondersi con la titolarità del soggetto da cui promanano.
Verso l’idea del condominio come ente gestorio sembra indurre l’art. 10 della l. 27 Luglio 1979 n° 392 secondo il quale il conduttore ha diritto di voto, in luogo del proprietario dell’appartamento locatogli, nelle deliberazioni dell’assemblea condominiale relative alle spese ed alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e condizionamento d’aria nonché di intervenire, senza diritto di voto, nelle deliberazioni relative alla modificazione degli altri servizi comuni. La prospettiva sembra confortare la tesi di una sorta di soggettività del condominio che in tema di comunione ci è sembrato, invece, essere allo stato embrionale.
E’ curioso notare come in recenti ordinamenti della giurisprudenza siano presenti forti segnali di una veduta non individuale del condominio. E’ evidente che l’orientamento in esame è attento a non confondere l’ordinamento del condominio con quello delle società di capitali, ma è anche evidente che per ritenere applicabile, sia pur in via analogica, una norma del secondo al primo deve rintracciare in questi analoghi presupposti sia in relazione all’esistenza di un’attività comune sia in relazione al modello di formazione della volontà a carattere maggioritario.
La verità è che l’organizzazione corporativa del condominio resta finalizzata alla migliore gestione delle parti comuni, così da migliorare il godimento della parti individuali.