Per la costituzione delle servitù sono le parti a fissare il contenuto, potendo essere questo il più variegato. Si potrebbe obiettare che nelle servitù costituite per usucapione manchi questo profilo; è evidente però che in queste ipotesi la mancanza dell’atto negoziale supplisca la situazione di fatto nella quale sono presenti comportamenti volontari reiterati nel tempo. Anche nelle servitù coattive la disciplina legale non è sufficiente a provocarne la costituzione in quanto, in mancanza del contratto, le modalità di esercizio dovranno essere fissate dalla sentenza ex art. 1032 c.c. Quindi può essere corretto affermare che nelle servitù la volontà delle parti partecipi come elemento essenziale alla configurazione della fattispecie concreta.
Bisogna però evitare di affermare che la regola privata esaurisca la disciplina in quanto una parte significativa delle servitù è irrimediabilmente estranea a quella. In buona sostanza la costituzione delle servitù si realizza nei modi e nelle misure previste dalla legge e questa si avvale della volontà delle parti per determinare il contenuto.
Ci sembra opportuno soffermarci sugli orientamenti che si sono formati in tema di servitù industriali e di servitù negativa, dove la caratteristica della predialità (o della utilità dei fondi) sembra sbiadire. E’ noto che l’art. 1028 c.c., nel fornire i tratti dell’utilità, conclude affermando che questa può essere inerente alla destinazione del fondo. La giurisprudenza ha sempre ribadito invece che il vantaggio assicurato da tale servitù deve essere legato ad un incremento della produttività del fondo e non può essere rapportato all’attività personale che svolge.
Peraltro, uno dei requisiti delle servitù prediali (quello in base al quale la relazione di servizio deve intercorrere solo tra fondi e soddisfare un bisogno “naturale”) risulta modificato dal riconoscimento delle servitù industriali nelle quali ha rilievo l’attività svolta dal soggetto che ha inserito il fondo nel ciclo industriale.
Per quanto riguarda le servitù negative, queste hanno per contenuto la mera astensione del proprietario del fondo servente di esercitare talune facoltà; nelle servitù positive, invece, il titolare del fondo dominante ha facoltà di godimento o di uso sul fondo servente. Si è evidenziato che la servitù negativa, che ha per contenuto un non facere, è un’obbligazione in quanto l’interesse del titolare del fondo dominante può essere soddisfatto solo dall’osservanza del comportamento negativo del titolare del fondo servente (Giorgianni).
Su analoga linea si dispone l’orientamento che, pur osservando il brocardo servitus in faciendo consistere nequit, dilata l’ampiezza degli obblighi accessori convenzionali, in modo che nei fatti lo schema della servitù venga a coincidere con il contenuto di tali obblighi (Vitucci). Non sono mancate critiche. Si è osservato (Romano) che per le servitù industriali l’adesione alla tesi che privilegia l’attività rispetto alla predialià pone in ombra l’inerenza della servitù alla cosa, mentre per le servitù negative l’idea del non facere è inadeguata a rappresentare la situazione reale che compete al titolare del fondo servente.
Importa evidenziare la tendenza a riaprire il discorso su quelle che un tempo venivano definite servitù personali, oggi irregolari, attraverso la svalutazione della predialità e la valorizzazione della relatività.
In una risalente tendenza della Cassazione si ritiene che le limitazioni, relative al godimento e utilizzo di certi beni destinati a soddisfare interessi scambievoli tra le parti, siano valide in quanto rispondenti alle progredite condizioni di civiltà nelle quali si vive, alla stregua di oneri reali (e non quindi di servitù) e seguono la cosa presso qualunque possessore per effetto della trascrizione.
La sentenza ripercorre efficacemente le tappe del problema:
1) non è ammissibile servitù reciproca;
2) la limitazione dà vita ad una obbligazione reale;
3) l’onere è valido in quanto risponde ad un interesse meritevole di tutela;
4) l’onere è opponibile ai terzi aventi causa, se trascritto.
Conviene concentrarsi sul punto relativo al riconoscimento dell’onere reale in ragione della meritevolezza dell’interesse perseguito. E’ evidente che siamo in presenza di una contaminazione tra la disciplina dei diritti reali minori e quella del contratto. Sembra che il riscontro dell’esistenza nella disciplina dei diritti reali di un contenuto contrattuale positivo appare legittimato dal richiamo al titolo costitutivo e fondato dal principio della libera determinazione del contenuto contrattuale nei limiti della legge.
Se dovessimo invece affacciarci sul versante della meritevolezza dell’interesse perseguito dovremmo presupporre una certa omogeneità degli elementi della fattispecie, nel senso del loro comune carattere negoziale, là dove larghe parti di disciplina sono già predefinite dal legislatore. Salvo ammettere la possibilità di costituire diritti reali atipici, risulta difficile far dipendere dal giudizio di conformità-difformità il carattere reale di una fattispecie che è oggetto di predeterminazione legale.
Più convincente è l’orientamento giurisprudenziale che riconosce il carattere reale delle limitazioni convenzionali alla libertà di utilizzo dei beni attraverso una coerente rielaborazione del concetto di servitù. Da tale orientamento si ha l’impressione che per i giudici il peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un fondo appartenente a diverso proprietario si traduce in una qualità obiettiva dei fondi interessati corrispondente a un certo modo di utilizzo del bene. La reciprocità invece resta estranea alla costruzione delle singole servitù in quanto ogni servitù è distinta e autonoma dall’altra.