Art.2051 e art.2052: il danno non è riferibile al comportamento del soggetto che è tenuto a rispondere.

Risponde solo perché il soggetto si trova in una data relazione con la cosa che ha provocato il danno.

In tutti e due i casi, rispetto all’art.2043, non manca solo l’elemento del solo o della colpa, ma manca proprio il fatto.

Il caso più antico è previsto dall’art.2052: “Danno cagionato da animali”. Stabilisce che: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o sfuggito, salvo che provi il caso fortuito.”

Quindi risponde il proprietario dell’animale, salvo la prova del caso fortuito (=fatto del quale il proprietario non è chiamato a rispondere). Rientra anche il fatto del danneggiato (se entra nel mio giardino).

Non vale invece come caso fortuito, il comportamento anomalo dell’animale. A meno che questo comportamento anomalo non sia dovuto al fatto del danneggiato (ha aizzato il cane).

Ratio della norma che rende responsabile il proprietario. Prevenzione di eventi dannosi. Così si induce il proprietario ad usare la massima diligenza sull’animale.

Problema: nei casi in cui il danno sia causato da una fauna selvatica.

Es. capriolo che attraversa la strada. Qualcuno è responsabile?

La fauna selvatica (legge speciale degli anni ’70) appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato. Delegato tutto alle Regioni.

La Regionepuò essere chiamata o no a rispondere ai sensi dell’art.2052 nel caso di danni causati da fauna selvatica?

A rigore, la risposta dovrebbe essere affermativa.

La Cassazioneesclude invece l’applicazione nei confronti della Regione dell’art.2052: perché la natura stessa degli animali li rende insuscettibili di custodia e vigilanza.

Dice inoltre, che il danneggiato può chiedere ed ottenere risarcimento, ai sensi dell’art.2043. Ma l’art.2043 complica di molto la posizione del danneggiato: non ha nessuna presunzione di prova; deve provare la colpa del danneggiato, della Regione. Ma è dura. La stessa Cassazione dice chela Regionenon ha l’obbligo di recintare i boschi.

 Art.2051: ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

Il custode è chiamato a risarcire i danni causati dalla cosa in custodia, per liberarsi può dimostrare solo il caso fortuito.

Spesso in giurisprudenza troviamo un’affermazione di omessa vigilanza del custode: è un omaggio alla tradizione perché il custode non si libera mai provando la sua mancanza di colpa. Questo caso fortuito può essere un fatto del terzo o del danneggiato.

 Tre sono i presupposti per l’applicazione dell’art.2051:

  1. Custode: la giurisprudenza interpreta in senso amplissimo=non solo il proprietario della cosa ma anche chi ha forte potere sulla cosa indipendentemente dal      titolo. Rientra anche chi senza alcun titolo ha un potere sulla cosa.

Es. caso dei condomini nei confronti del condominio quando un dei condomini subisca danni da una cosa comune (=infiltrazioni dal tetto). Il condomino in questo caso è custode.

Es. il proprietario dell’appartamento sottostante subisce infiltrazione dall’appartamento sopra: il condominio sarà responsabile.

Es. danni per insidie nelle strade, risponde l’ente proprietario della strada.

Es. cliente del pubblico esercizio cade sul pavimento scivoloso.

Un problema è individuare il custode quando c’è locazione: la giurisprudenza dice che il proprietario è da considerarsi come custode per tutte le cose sulle quali il conduttore non abbia alcun potere di fatto o disponibilità. Il conduttore è responsabile in tutti i casi in cui il danno deriva da una cosa che rientra nella sua disponibilità.

  1. Nesso di causalità: tra cosa e danno. Lo si prova in base al criterio della regolarità statistica.
  2. Cosa: che sia stata questa a cagionare il danno. Può essere un’entità niente, ma tuttavia fonte di danno. es.buca nella strada.

 Art.2053: il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o vizi di costruzione.

L’ambito di applicazione è molto più ampia di quella che si può pensare.

Interpretazione estensiva di rovina: non solo il crollo ma qualsiasi disgregazione anche limitata e circoscritta di un elemento strutturale della costruzione (es. caduta di una tegola).

Prova liberatoria: la rovina non è dipesa da vizio di costruzione o difetto di manutenzione. La giurisprudenza è più rigorosa con il proprietario: esige la prova, prima del fatto specifico che ha provocato il danno (es. tempesta fortissima e rara di vento che ha staccata la tegola). Solo dopo, la giurisprudenza ammette il proprietario a dimostrare che non c’era difetto di manutenzione o vizio di costruzione. Quando la causa è ignota, il proprietario è sempre chiamato a risarcire il danno.

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