Con il precedente codice del 1917, la dottrina canonistica ricercava i principi legittimanti il godimento di quei beni temporali, di cui rivendicava il diritto della Chiesa ad acquisirli e amministrarli liberamente (can. 1495 codice pio-benedettino). Questo per l’esigenza etica di evitare un irragionevole accumulo di beni temporali al di là delle obbiettive esigenze ed evitare un loro utilizzo per finalità estranee alla Chiesa. Il ricorso ai beni terreni si giustifica solo nella misura in cui è strettamente necessario alla vita della comunità e all’aiuto dei poveri. I beni della Chiesa, diceva s. Ambrogio, sono “patrimonia pauperum” cioè bene dei poveri.

Sul piano tecnico – giuridico questa ricerca è volta alla precisa individuazione delle finalità proprie del patrimonio ecclesiastico, da queste si passa poi alla elaborazione di criteri per una sana amministrazione e per un corretto esercizio dei poteri di controllo e vigilanza. Il legislatore del codice vigente, consapevole di questa esigenza, ha colmato la lacuna. Infatti il can. 1254, che apre il libro V intitolato “I beni temporali della Chiesa”, afferma che la Chiesa cattolica ha il diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare e alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri; cioè questi beni sono destinati ad ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente al servizio dei poveri.

Questo sensibile miglioramento della tecnica di legiferazione è un’applicazione di quanto prescritto dal Concilio Vaticano II costituendo il criterio di legittimazione della disponibilità e del godimento dei beni temporali da parte di una Chiesa che vuole essere povera.

 

I beni ecclesiastici

Il codice non detta una definizione chiara, ma nel can. 1257 troviamo due parametri per individuare i beni detti ecclesiastici: in primo luogo sono beni temporali, distinti dai beni spirituali; in secondo luogo sono beni appartenenti alla Chiesa, alla Sede Apostolica e alle altre persone giuridiche pubbliche nell’ordinamento canonico. Nel can. 1257 e 1254 troviamo precisamente il concetto giuridico di “beni ecclesiastici” sia sotto il profilo soggettivo, quei beni appartenenti a persone giuridiche pubbliche nella Chiesa, sia sotto il profilo oggettivo, quei beni temporali la cui destinazione è vincolata alle individuate finalità della Chiesa.

A questa categoria possiamo ricondurre beni di diverso genere: beni materiali (res corporales) cioè le parti del mondo sensibile aventi un valore economico, e beni immateriali (res incorporales); i beni immobili e i beni mobili; le res sacrae, cioè quelle cose che con la consacrazione o con la benedizione sono immediatamente destinate al culto divino. Fra i beni ecclesiastici e le res sacrae non c’è identificazione, infatti i beni ecclesiastici non sono costituiti solo da res sacrae e queste ultime possono trovarsi in proprietà di privati.

Le res sacrae, anche in proprietà di privati, non sono oggetto del diritto canonico. Ad es. nel can. 1205 sono dettate norme minuziose sui luoghi sacri, cioè quei luoghi che vengono destinati al culto divino o alla sepoltura dei fedeli mediante la dedicazione o la benedizione. Il codice parla genericamente di beni temporali della Chiesa, senza ulteriori distinzioni.

Il patrimonio ecclesiastico è costituito dunque dai beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche, cioè secondo il can. 116, quegli insiemi di persone o cose (universitates personarum aut rerum) costituite dalla competente autorità ecclesiastica perché compiano in nome della Chiesa il compito ad essa affidato. Esse acquistano la personalità giuridica o ipso iure, cioè per disposizione di legge, o con provvedimento amministrativo della competente autorità ecclesiastica (can. 116). Sono persone giuridiche pubbliche ipso iure: le Chiese particolari (can. 373); le province ecclesiastiche (can. 432); le conferenze episcopali (can. 449); le parrocchie (can. 515); i seminari (can. 238); gli istituti religiosi, le loro province e case (can. 634).

E’ da considerarsi conservata la personalità giuridica ipso iure del collegio cardinalizio (cann. 349 – 359) e dei capitoli dei canonici (cann. 503 – 510). Possono acquistare personalità giuridica con decreto dell’autorità ecclesiastica: le regioni ecclesiastiche (can. 433); le conferenze dei superiori maggiori (can. 709); le Università cattoliche (can. 807) e le Università e Facoltà ecclesiastiche (cann. 815 – 816); le associazioni pubbliche di fedeli (can. 301); le pie fondazioni autonome (can. 1303). Il codice conferisce la qualificazione di “persone morali” alla Sede Apostolica e alla Chiesa universale (can. 113) ponendole al di sopra delle altre per la loro origine divina.