Il matrimonio canonico è un patto (foedus) o contratto, che sorge esclusivamente dalla libera volontà dei soggetti contraenti, cioè gli sposi; volontà che non può essere supplita da nessuna potestà umana, neppure ecclesiastica (can. 1057), quindi nessuno può vincolare altri al matrimonio. Il consenso contrattuale è la causa efficiente del sacramento; il sacerdote che assiste allo scambio del consenso è solo un testimone pubblico (testis qualificatus).

Materia e forma del matrimonio sono nelle parole o nei segni (can. 1101) con cui gli sposi esprimono il consenso, cioè l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio (can. 1057). La materia è costituita dalla reciproca dazione di se, mentre la forma è la manifestazione della reciproca accettazione del dono di sé. Per essere validamente celebrato il matrimonio ha bisogno di tre elementi: un consenso prestato da persona giuridicamente abile, non viziato né nella sua formazione né nella sua manifestazione; l’assenza di impedimenti; la forma prescritta.

 

Il consenso

Il matrimonio è costituito dal libero consenso delle parti. Per il diritto sono irrilevanti i motivi che possono aver indotto l’individuo a sposarsi, ciò che conta è la volontà di entrambi. La struttura essenziale del matrimonio è predefinita, la libertà dei soggetti contraenti si esaurisce nella libera adesione al modello giuridicamente predeterminato; in particolare le parti non possono alterare il carattere eterosessuale del matrimonio o modificarne le proprietà e le finalità. Vista la centralità del consenso, un difetto o vizio di quest’ultimo produce l’invalidità del matrimonio anche se, per essere rilevante in foro esterno, deve essere accertata dal competente giudice ecclesiastico.

La validità del consenso, dunque, dipende dalla capacità di coloro che debbono prestarlo, dalla conoscenza oggettiva di ciò che vogliono, dalla libertà di cui devono godere, dai reali contenuti della volontà esternamente manifestata. Un difetto o vizio del consenso rende invalido il matrimonio: l’incapacità di contrarre matrimonio, l’ignoranza, l’errore, il dolo, la violenza e il timore, la simulazione, la condizione. Per capacità si intende l’idoneità del soggetto a valutare il proprio comportamento determinandosi coscientemente ad esso, quindi la capacità di contrarre matrimonio significa avere una conoscenza sufficiente della natura e dei fini del matrimonio e l’idoneità a volerlo. Quindi l’incapacità è la mancanza di tale idoneità, che può riguardare la sfera intellettiva e della conoscenza, quella volitiva, quella attuativa o operativa.

 

I vizi del consenso:

a) L’incapacità a contrarre matrimonio

Secondo il can. 1095 sono incapaci a contrarre matrimonio:

  • coloro che per ragioni diverse, temporanee o permanenti, mancano di sufficiente uso di ragione e quindi non sono in grado di raggiungere una seppur minima conoscenza di che cosa sia il matrimonio, questi sono i casi delle alterazioni mentali temporanee contingenti come ad esempio l’alcool e l’ipnosi.
  • coloro che, per immaturità o per cause patologiche, difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente, riguarda quindi soggetti che non sono portatori di vere e proprie affezioni psicotiche ma che per ragioni permanenti o temporanee della loro personalità non sono in grado di avere sufficiente consapevolezza e libertà nell’assumersi obblighi, questi sono i casi in cui anche se l’individuo sa di contrarre matrimonio non può discernere gli obblighi per alterazioni di carattere o anche detti conflitti di personalità (isterico, narcisista, immaturo psichico-affettivo).
  • coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, poiché non essendo in grado di adempiere gli obblighi non possono assumerli con la celebrazione del matrimonio; questa incapacità è simile al caso precedente ma attiene a casi psicofisici nell’ambito della sfera sessuale (omosessuale, ninfomane e satiro, sadico e masochista) perché sono incapaci di condurre una sana vita coniugale, ad esempio non sono in grado di assumersi il dovere della fedeltà.

 

b) L’ignoranza

L’ignoranza è l’insufficiente conoscenza di cos’è il matrimonio e cosa comporta. Secondo il can. 1096 è necessario che i contraenti sappiano almeno che il matrimonio è la comunità permanente tra l’uomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale. Essendo il matrimonio un rapporto al quale l’uomo è incline per natura, acquisisce in via autonoma la conoscenza essenziale di che cosa il matrimonio sia e comporti. Quindi è richiesta una consapevolezza non specifica ma solo degli elementi essenziali: l’unione solidale tra uomo e donna, la sua durata nel tempo, la sua apertura alla procreazione attraverso il rapporto sessuale. E’ una conoscenza minimale ma sufficiente ad individuare l’oggetto specifico che si presume sussistere in ogni persona dopo la pubertà, cioè dopo la pubertà (14 anni per la donna, 16 anni per l’uomo) non c’è più ignoranza ma una piccola conoscenza.

 

c) L’errore

Esiste il vizio per errore di diritto (error iuris) o per errore di fatto (error facti). L’errore di diritto riguarda le proprietà essenziali e la sacramentalità del matrimonio. Il can. 1099 afferma che l’errore circa l’unità o l’indissolubilità o la dignità sacramentale del matrimonio non vizia il consenso matrimoniale, purché non ne determini la volontà. Quindi se l’errore riguarda solo la conoscenza delle proprietà e dei fini del matrimonio è irrilevante giuridicamente. Diviene causa di invalidità quando, dalla sfera intellettiva, si passa in quella volitiva determinando così il consenso.

Ad esempio l’erronea convinzione che il matrimonio sia dissolubile incide se viene ad oggettivarsi nella volontà, allora l’errore diviene rilevante invalidando il consenso. L’errore di fatto invece riguarda la persona dell’altro contraente il matrimonio, ad esempio è l’errore sull’identità fisica della persona che rende invalido il matrimonio (can. 1097) perché il consenso è viziato in ragione del fatto che il matrimonio riguarda una persona concreta e determinata.

Più complesso è il caso dell’errore su una qualità della persona, perché in genere questo errore non incide sulla validità. Qualora la qualità della persona sia voluta direttamente e principalmente all’atto di esprimere il consenso, il matrimonio è nullo (can. 1097), in questo caso la qualità diventa l’oggetto del consenso matrimoniale. Un caso particolare è l’error redundans in errorem personae, cioè errore sulle qualità della persona che diviene errore di persona; è una fattispecie contemplata nel codice del 1917 ma non più in quello vigente anche se è tuttora giuridicamente configurabile.

 

d) Il dolo

Il dolo (can. 1098) è stato inserito nell’ultimo Codice (1983) perché in passato non si riteneva opportuno dare importanza a questo vizio poiché la maggior parte dei matrimoni erano basati su questo. Il consenso è viziato quando si pone in essere dolosamente un inganno, cioè il contraente venga indotto in errore su una qualità dell’altra parte e per ciò presti il consenso. La qualità può essere fisica, morale, sociale ecc. ma deve essere essenziale per il matrimonio o deve avere una natura tale da turbare gravemente la vita coniugale. Il dolo può essere posto dall’altra parte contraente o da una terza persona, può consistere in un comportamento attivo o anche passivo od omissivo, purché esplicitamente diretto ad indurre in errore. Un esempio può essere il caso di sterilità taciuta con inganno all’altra parte per evitare il sottrarsi di quest’ultima al matrimonio. E’ una disposizione di diritto umano o di diritto divino? Esistono due teorie: di diritto umano perché posta dal legislatore, di diritto naturale perché il consenso non è prestato validamente.

 

e) La violenza e il timore

Nessuno può validamente obbligarsi se non liberamente, questo principio si collega al diritto fondamentale del fedele ad essere immune da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita (can. 219). Di conseguenza un consenso matrimoniale estorto con violenza o timore non è valido. Nel caso della violenza fisica, il consenso viene addirittura a mancare (can. 125). Più frequente è il caso della violenza morale o del timore (metus), qui il consenso sussiste ma è viziato (can. 125). Per provare l’invalidità occorre che la violenza sia: oggettivamente grave, tale da annullare la libertà di determinazione; incussa dall’esterno; prodotta dal comportamento volontario di un’altra persona e non da eventi naturali; efficace, cioè colui il quale subisce la violenza ha come unica via per sottrarsi ad essa il matrimonio.

Una fattispecie particolare è il timore reverenziale (metus reverentialis), che si produce in un rapporto caratterizzato da vincoli di dipendenza affettiva o psicologica. La caratteristica di questo metus è che non produce elementi di violenza fisica o morale, ma condizionamenti del consenso derivanti da ricatti affettivi o da abusi di autorità. Le preghiere, le suppliche, le espressioni di dolore o di disappunto, i ricatti psicologici, sono fattori che costringono un soggetto a contrarre matrimonio. Ordinariamente questi fattori non invalidano un matrimonio, ma quando oggettivamente diventano forme di pressione gravi e soggettivamente vengono da persone con forte personalità allora possono invalidare un matrimonio.

 

f) La simulazione

Si parla di simulazione (can. 1101) quando ricorra una divergenza tra la manifestazione esterna del consenso matrimoniale e l’interno volere, esternamente si esprime la volontà di contrarre matrimonio ma internamente non si vuole. In questo caso il nubente vuole un matrimonio diverso rispetto a quello che intende la Chiesa, quindi vi è una finzione del consenso. La simulazione può essere totale o parziale: totale quando non si vuole il matrimonio o si vuole per finalità diverse; parziale quando la volontà del soggetto è diretta a costituire il matrimonio ma con esclusione di elementi essenziali.

La fattispecie si verifica quando esternamente il nubente esprime il consenso matrimoniale, ma internamente esclude l’unità del matrimonio (bonum fidei), o la sua indissolubilità (bonum sacramenti), o il bene dei coniugi (bonum coniugum), o la generazione della prole (bonum prolis), o il valore della sacramentalità. La simulazione può essere bilaterale o unilaterale (riserva mentale); la simulazione unilaterale è giuridicamente irrilevante in diritto civile, lo è invece in diritto canonico. Perché il matrimonio sia invalido per simulazione non è sufficiente una generica intenzione contro il matrimonio, bensì ci vuole un atto positivo di volontà diretto ad escludere il matrimonio stesso.

Secondo il can. 1101 il consenso interno dell’animo si presume conforme alle parole o ai segni adoperati nel celebrare il matrimonio, si ha cioè la presunzione di conformità della dichiarazione esterna alla volontà interna. Si tratta di una praesumptio iuris, cioè una congettura probabile di un fatto incerto stabilito dalla legge, inoltre è una presunzione iuris tantum poiché ammette la prova contraria. La presunzione è da collegare al can. 1060 in cui è consacrato il principio del favor matrimonii, cioè in caso di dubbio si debba stare, fino a prova contraria, per la validità del matrimonio. La presunzione risponde ad un dato di comune esperienza, poiché normalmente c’è coincidenza tra manifestazione esterna ed interno volere, quindi qualunque consenso si deve ritenere conforme alla sua manifestazione esterna, purché sia intervenuta la species seu figura matrimonii.

 

g) La condizione

Il consenso si può viziare a causa di una condizione, per cui la validità o meno del contratto matrimoniale dipende dalla sussistenza di una determinata circostanza (can. 1102). Il diritto canonico esclude la validità del matrimonio contratto con condizione propria, cioè condizione de futuro con effetti sospensivi, perché non si possono lasciare in sospeso gli effetti giuridici e spirituali del matrimonio-sacramento al verificarsi futuro ed incerto di un determinato fatto. Un caso particolare è quello della condizione potestativa, la quale riguarda un fatto la cui realizzazione dipende dalla volontà dell’altra parte. Invece il caso della condizione de futuro con effetti risolutivi è una condizione al verificarsi della quale il matrimonio verrebbe meno, quindi in realtà si verserebbe in una simulazione per esclusione della indissolubilità.

Viceversa il diritto canonico ammette la celebrazione del matrimonio sotto condizione passata o presente, per cui il matrimonio è valido o meno a seconda se sussista o meno il fatto dedotto in condizione (can. 1102). La ragione per cui il diritto canonico ammette rilievo giuridico alla condizione è di garantire il reale consenso degli sposi. L’apposizione di condizioni de praeterito o de praesenti costituisce tuttavia un elemento di grave turbativa del consenso e del bene spirituale degli sposi, per questo esiste una disposizione nello stesso can. 1102 secondo cui non si può porre la condizione se non con la licenza scritta dell’Ordinario del luogo. Tale licenza è richiesta ad liceitatem e non ad validitatem, quindi il matrimonio contratto sotto condizione passata o presente senza detta licenza sarebbe illecito ma non invalido.