Il matrimonio è contratto invalidamente se c’è un vizio del consenso, un impedimento non dispensabile o non dispensato, un vizio di forma. A differenza del diritto civile, che contempla la nullità (anomalia radicale dell’atto che coinvolge la sua essenza ontologica) e l’annullabilità (anomalia più limitata e relativa che non coinvolge l’atto nella sua essenza), il diritto canonico contempla solo casi di nullità. Il contratto matrimoniale, quindi, è inefficace e senza effetto sin dall’origine e la relativa nullità può essere giudizialmente accertata in ogni tempo.

Infatti la sentenza di nullità produce effetti retroattivamente (ex tunc) fatti salvi gli effetti del cosiddetto matrimonio putativo, che si ha quando sia stato celebrato in buona fede da almeno una delle parti e fintanto che entrambe le parti non divengano consapevoli della sua nullità (can. 1061). Quindi il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio validamente contratto per quanto riguarda la legittimità dei figli (can. 1137) o la loro legittimazione per susseguente matrimonio (can. 1139).

Il matrimonio canonico è considerato inesistente qualora manchi addirittura l’atto o esso si presenti anomalo rispetto alla fattispecie delineata dal legislatore; ad esempio il caso del consenso matrimoniale posto per scherzo (ioci causa) o sulla scena teatrale da due attori. Il matrimonio è oggetto di particolare favore nell’ordinamento canonico (favor matrimonii), che si esprime nella presunzione (iuris tantum) per cui nel dubbio il matrimonio si deve ritenere valido fino a prova contraria (can. 1060) e che si manifesta nella possibilità offerta dall’ordinamento agli sposi di convalidare il matrimonio, solo nel caso in cui venga meno il motivo che ha prodotto l’invalidità.

Questo principio non si applica sempre, come ad esempio nel matrimonio legittimo tra infedeli, perché la salus animarum (favor fidei) è considerata più importante del favor matrimonii. Dunque in presenza di vizi i coniugi possono scegliere se: chiedere l’annullamento, continuare a convivere come fratello e sorella, chiedere la convalida.

La convalidazione del matrimonio si ha nella forma della convalidazione semplice (convalidatio simplex) (cann. 1156 – 1160) cioè la rinnovazione del consenso di entrambe o almeno una delle parti purché l’altra perseveri nel consenso dato all’atto della celebrazione. Se il matrimonio è nullo a causa di un impedimento, il consenso può essere rinnovato solo se l’impedimento è venuto meno o è stato dispensato; se è nullo a causa di un vizio del consenso, chi è stato causa della nullità deve rinnovare il consenso e l’altra parte deve perseverare il suo; se il vizio deriva dalla forma, il consenso deve essere rinnovato secondo le modalità prescritte dal diritto. La convalidazione semplice può avvenire in modalità diverse, a seconda se il motivo sia pubblico o occulto (can. 1074): se il motivo è pubblico, la volontà matrimoniale deve essere nuovamente espressa in forma pubblica; se il motivo è occulto, è sufficiente il rinnovo del consenso in segreto.

Un altro tipo di convalida è la sanazione in radice (sanatio in radice) mediante la quale, quando il matrimonio è invalido per un impedimento o vizio di forma ma il consenso era valido, può essere sanato per concessione dell’autorità ecclesiastica competente. Questa concessione può essere data anche all’insaputa delle due parti o di una di esse, purché perseveri il consenso e l’impedimento sia venuto meno o sia stato dispensato. E’ quindi un atto amministrativo che comporta la dispensa dell’impedimento o del vizio. La sanatio in radice non può applicarsi nel caso di matrimonio nullo per mancanza o per vizio del consenso perché per il diritto canonico il consenso delle parti non può essere supplito da nessuna potestà (can. 1057).