La costituzione del patrimonio ecclesiastico

Esistono due modi di acquisto dei beni temporali da parte della Chiesa: uno di diritto privato (can. 1259), cioè facendo ricorso agli istituti giuridici previsti dai diritti secolari per l’acquisto del diritto di proprietà; l’altro di diritto pubblico, cioè attraverso l’esercizio del potere di imperio della Chiesa, che può imporre alle persone fisiche e giuridiche ad essa soggette di devolvere parte dei loro redditi agli enti ecclesiastici. La Chiesa ha infatti il diritto di esigere dai fedeli quanto le è necessario per le finalità sue proprie (can. 1260) e i fedeli sono invitati a contribuire alle necessità della Chiesa (can. 1262).

Dobbiamo quindi distinguere tra: i tributi, cioè le prestazioni dovute al mero titolo di appartenenza ad una Chiesa; le tasse, cioè le prestazioni dovute in compenso di atti della potestà esecutiva a vantaggio dei singoli fedeli; le oblazioni o offerte, da farsi in occasione dell’amministrazione dei sacramenti e sacramentali. Nell’ultimo caso si tratta di prestazioni avente una certa doverosità ma comunque volontarie, per evitare ogni erronea impressione che la prestazione pecuniaria del singolo fedele corrispondesse al valore del sacramento o peggio che i sacramenti fossero amministrati a pagamento (simonia).

Per quanto riguarda le acquisizioni di carattere pubblico invece distinguiamo tra: le questue (can. 1265), cioè le offerte di fedeli per un fine religioso, raccolte attraverso inviti generalizzati e che possono essere effettuate solo previa autorizzazione, fatta eccezione per i religiosi mendicanti; le collette speciali (can. 1266), da effettuarsi nelle chiese e negli oratori aperti al pubblico, disposte dalla competente autorità ecclesiastica.

A differenza del passato, si è cercato di ridurre l’esercizio del potere di imposizione per accentuare l’aspetto della libera e responsabile partecipazione. Tra i doveri e i diritti fondamentali dei fedeli c’è anche l’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, perché questa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità, per il sostentamento del clero (can. 222).

 

L’amministrazione dei beni ecclesiastici

Il diritto canonico precisa quali sono gli organi legittimati a porre in essere gli atti necessari all’incremento, alla conservazione, alla fruizione e all’alienazione del patrimonio ecclesiastico. Amministratore della persona giuridica pubblica è colui che presiede a norma di legge o per disposizioni statuarie o fondazionali (can. 1279). Esempi di amministratori ex lege sono il Vescovo per la diocesi (can. 393) e il parroco per la parrocchia (can. 532); esempi di amministratori determinati dagli statuti o dalle tavole di fondazione sono quelli dei capitoli (cann. 505 – 506), delle associazioni pubbliche di fedeli (can. 319), delle fondazioni pie autonome (can. 1303).

Gli amministratori sono tenuti ad adempiere ai loro compiti in nome della Chiesa (can. 1282) ed è escluso che essi possano agire come titolari di un mandato senza rappresentanza (art. 1705 CC). E’ impedita la regolare amministrazione del patrimonio: nei casi di difetto o di negligenza dei legittimi organi di amministrazione, allora il potere è attribuito all’autorità gerarchicamente sovraordinata (il Pontefice, can, 1273; l’Ordinario diocesano, can. 1279); nel caso in cui né la legge, né gli statuti, né le tavole di fondazione determinino gli organi di amministrazione, spetta all’Ordinario nominare come amministratori persone idonee che restano in carica per un triennio, con possibilità di essere confermate (can. 1279).

Ogni persona giuridica deve avere un consiglio per gli affari economici, composto da fedeli esperti in materia economica e conoscitori del diritto secolare per dare un adeguato sostegno all’amministratore (can. 1280). Prima dell’assunzione dell’incarico (can. 1283) è richiesto agli amministratori di prestare giuramento di svolgere le proprie funzioni onestamente, fedelmente, con la diligenza del buon padre di famiglia (can. 1284) e di sottoscrivere un inventario dei beni aventi rilevante valore economico o culturale, la cui copia viene conservata nell’archivio della Curia diocesana.

I compiti degli amministratori sono contemplati nei canoni 1284 – 1287 e sono: curare la conservazione del patrimonio; predisporre tutele della proprietà in forme valide; attenersi scrupolosamente alle norme canoniche e civili; esigere, conservare ed erogare i redditi e proventi secondo gli statuti, le tavole di fondazione e le disposizioni di legge; versare le quote di interesse e di capitale connesse a mutui o ipoteche; impiegare le attività di bilancio per fini propri della Chiesa; curare la regolare tenuta dei libri contabili, la custodia dei documenti e degli strumenti, la redazione del bilancio preventivo e l’elaborazione del rendiconto annuale; osservare le leggi in materia di lavoro, concedendo un onesto compenso ai propri dipendenti; non agire nel foro civile senza autorizzazione della competente autorità; non abbandonare arbitrariamente le proprie funzioni; non procedere a donazioni che nei limiti dell’ordinaria amministrazione e solo per fini di pietà o carità.

I compiti di vigilanza e di controllo sull’amministrazione dei beni sono attribuiti alla Santa Sede e all’Ordinario. Mentre la Santa Sede è organo generale ed universale di vigilanza e di controllo secondo il can. 1273, per il quale il Pontefice è supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici, l’Ordinario è il normale ed immediato organo di vigilanza e di controllo (can. 1276). L’attività di vigilanza riguarda la costante verifica della corrispondenza della vita e dell’attività della persona giuridica; in particolare riguarda l’operato degli organi di governo e l’utilizzazione dei beni delle persone giuridiche.

L’attività di controllo attiene agli atti di straordinaria amministrazione e all’autorizzazione a stare in giudizio; in quest’ultimo caso il diritto canonico prevede che la capacità dell’amministratore della persona giuridica debba essere integrata dall’intervento dell’autorità ecclesiastica che ha poteri di controllo.

Per atti eccedenti l’ordinaria amministrazione si intendono quelli che producono sostanziali innovazioni alla situazione patrimoniale della persona giuridica, sia in positivo sia in negativo. I criteri per determinare quali atti sono definiti straordinari sono: negli statuti sono stabiliti quali sono gli atti “straordinari”; in caso di silenzio degli statuti, spetta al Vescovo diocesano determinare tali atti (can. 1281), per gli istituti religiosi spetta ai propri competenti organismi (can. 368). Sul patrimonio della diocesi la competenza in materia è della Conferenza episcopale (can. 1277).

Nel caso di atti posti in essere illegittimamente, la persona giuridica risponde solo nei limiti in cui l’atto posto invalidamente sia tornato a suo vantaggio o nel caso di atti validi ma illeciti. Gli amministratori rispondono sia nel caso di atti posti invalidamente, che siano andati a svantaggio, sia nel caso di atti validi ma illeciti che abbiano recato danni alla persona giuridica: in entrambi i casi quest’ultima può rifarsi contro gli amministratori che le abbiano recato danno (can. 1281). L’aver posto o omesso illegittimamente atti relativi all’amministrazione del patrimonio, può portare persino ad una fattispecie criminosa, prevista dal can. 1389, e all’irrogazione di un’adeguata sanzione penale nei confronti dell’amministratore responsabile dell’atto.

 

Una categoria particolare: i beni culturali

I beni culturali sono una categoria unitaria di beni considerati degni di una particolare protezione perché connessi allo sviluppo integrale della persona umana; sono le cose di interesse storico o artistico, o le bellezze naturali, i beni ambientali, o beni di recente creazione. In questa categoria rientrano tutti i beni che costituiscono testimonianza materiale di un valore di civiltà o si pongono come strumenti di civilizzazione. Possono entrare in evidenza dal punto di vista giuridico per tre motivi: in relazione alla proprietà; in relazione alla sua tutela e conservazione; in relazione alla sua destinazione.

In particolare i beni culturali ecclesiastici sono quei beni culturali che sono in proprietà di persone giuridiche canoniche pubbliche e non hanno necessariamente un carattere religioso né necessariamente devono essere costituiti da materiali preziosi. Solo dopo il Concilio Vaticano II è cresciuto il rilievo di questa categoria, anche se il diritto particolare prende in considerazione i beni culturali con disposizioni frammentarie. Il can. 1283 menziona i beni da inventariare e non ci sono solo le cose preziose ma anche i beni culturali: ad esempio oltre i beni destinati al culto sono anche le testimonianze della pietà popolare, gli archivi ecclesiastici e le biblioteche ecclesiastiche. Il diritto canonico universale pone alcune norme per la loro conservazione, per il restauro, per la loro destinazione a scopi profani, per le autorizzazioni alla loro alienazione.