Nel regime degli atti prende concretamente forma l’attività di governo del popolo di Dio. Il codice ha cercato di razionalizzarlo tenendo conto delle peculiarità del sistema di governo ecclesiale. Il Libro I del codice individua, dopo le leggi ecclesiastiche e la consuetudine (fonti del diritto, cann. 19, 23), i decreti generali e le istruzioni (cann. 29 – 34) e la categoria degli atti amministrativi singolari (cann. 35 – 93), al cui interno troviamo altri atti non sempre omogenei: i decreti e i precetti singolari, i rescritti, i privilegi e le dispense.

 

Decreti generali e istruzioni

I decreti generali e le istruzioni hanno in comune l’essere atti subordinati alle leggi e rivolti ad una generalità di destinatari (atti amministrativi generali), ma non tutti sono espressione di potestà esecutiva. Tra i decreti generali infatti distinguiamo quelli aventi natura legislativa, in quanto emanati dal legislatore competente (can. 29) o da chi disponga di un’espressa concessione da parte del legislatore (legislazione delegata) (can. 30), dai decreti generali esecutivi, emanati da coloro che godono di potestà esecutiva, entro i limiti della loro competenza, che determinano i modi da osservare nell’applicare la legge o con cui si urge l’osservanza delle leggi (can. 31). Questi ultimi sono sottoposti al principio di legalità (non derogano alle leggi e le loro disposizioni che siano contrarie alle leggi sono prive di ogni vigore) e sono assimilabili ai regolamenti amministrativi negli ordinamenti secolari o disposizioni generali “esterne”.

Le istruzioni provengono anch’esse da soggetti che godono di potestà esecutiva e rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nell’eseguirle, quindi sono destinate a chi cura che le leggi siano mandate ad esecuzione (can. 34). Per questo loro carattere interno vengono denominate disposizioni generali “interne” e sono anch’esse sottoposte al principio di legalità.

 

Gli atti amministrativi singolari

Sono una categoria eterogenea di atti che hanno un destinatario concreto (“singolare”). Non sono sempre espressione di potestà esecutiva in quanto sono veri e propri atti del legislatore. Si distingue tra gli atti amministrativi singolari in senso stretto, che sono espressione di potestà esecutiva e quindi soggetti al principio di legalità (can. 38) e alla possibilità di ricorso (ca. 1732), e le norme singolari, di competenza del legislatore. Sul piano normativo a questa distinzione non corrisponde una distinzione degli atti sulla base del loro nomen iuris, perché uno stesso atto può avere natura di atto amministrativo o di norma singolare. Questo minore rigore formale trova ragione nell’elasticità del diritto canonico, poiché il primato è il fine della salvezza della anime (can. 1752).

Perciò se la regola generale configge nel caso concreto con il fine della salvezza del singolo, l’ordinamento canonico mette a disposizione degli istituti (privilegi, dispense, equità canonica) per poter derogare la norma. In tal caso atti singolari posso assumere natura formale di vere e proprie norme singolari, cioè aventi efficacia sul piano legislativo. Nella categoria degli atti amministrativi singolari fanno parte (can. 35):

  • il decreto singolare, un atto amministrativo emesso dalla competente autoritĂ  esecutiva mediante il quale è data per un caso particolare una decisione o viene fatta una provvisione (can. 48), pertanto è dato su iniziativa della autoritĂ ;
  • il precetto singolare, un decreto decisorio, avente quindi natura imperativa, con cui si impone direttamente e legittimamente a una persona o a persone determinate qualcosa da fare o da omettere per osservare il contenuto di una legge (can. 49); nel caso in cui con un precetto siano imposti obblighi cui il destinatario non era previamente obbligato, avrebbe efficacia innovativa e quindi si qualificherebbe come norma singolare;
  • il rescritto, un atto amministrativo dato per iscritto dalla competente autoritĂ  esecutiva tramite il quale, su domanda di qualcuno, è concesso un privilegio, una dispensa o un’altra grazia (can. 59); alcuni rescritti possono provenire dal legislatore o concernere materie aventi natura legislativa, quindi non avrebbero natura formale di atti amministrativi ma di norme singolari.

Il rescritto era definito in passato come “responsum principis ad instantiam petentis”, è la risposta data dalla Santa Sede o da un Ordinario con la quale si comunica una decisione o informazione dietro richiesta, o la concessione di un favore o dispensa. Oggi esso indica non solo l’atto conclusivo ma lo stesso procedimento amministrativo di esame e valutazione. La natura complessa dell’atto si riflette sul contenuto composto di tre elementi: la richiesta da parte del fedele, i motivi che la sorreggono, la risposta dell’autorità superiore.

 

Le norme singolari

Sono una serie di atti che possono derogare a quanto stabilito nelle norme generali, per rispondere alle esigenze poste dal fine della salvezza delle anime. Tra di esse troviamo il precetto, il privilegio e la dispensa.

  • il privilegio, una grazia in favore di determinate persone, sia fisiche sia giuridiche, accordata per mezzo di un atto concesso dal legislatore o dall’autoritĂ  esecutiva (can. 76), quindi ha natura legislativa; può avere carattere personale, se viene concesso ad una persona e dunque segue sempre la persona e si estingue con il suo decesso, carattere reale se concesso direttamente e immediatamente ad una cosa e quindi cessa con la distruzione totale della cosa o del luogo (can. 78);
  • la dispensa, un’esenzione (relaxatio) da una legge meramente ecclesiastica in un caso particolare, concessa da coloro che godono di potestĂ  esecutiva e da quelli cui compete di dispensare esplicitamente o implicitamente (can. 85).

Il codice prevede un duplice limite generale per la dispensa:

  1. non sono dispensabili le leggi in quanto definiscono gli elementi costitutivi essenziali degli istituti o degli atti giuridici (can. 86)
  2. non si dispensi senza giusta e ragionevole causa (can. 90)

Quest’ultimo limite dipende dall’autorità che ha concesso la dispensa, se il legislatore o altro organo dotato di potestà esecutiva: nel primo caso la sua inosservanza incide solo sulla liceità dell’atto, nel secondo sulla sua validità.

Anche la dispensa si presenta a volte come norma singolare poiché proviene da un’autorità dotata di potestà legislativa (can. 87). Questo istituto riflette al massimo la caratteristica del diritto canonico di piegare la certezza formale del diritto al fine della salvezza delle anime, che può portare anche la disapplicazione di una norma (can. 135). Un esempio è il can. 87 in cui sono rafforzati i poteri di dispensa del Vescovo diocesano, che ha la facoltà di dispensare validamente i fedeli dalle leggi disciplinari ogni qualvolta giudichi che ciò giovi al loro bene spirituale, questa facoltà non riguarda però le leggi processuali o penali.

In caso vi sia difficoltà di ricorrere alla Santa Sede e pericolo di danno grave nell’attesa, dalle stesse leggi può dispensare qualunque Ordinario, purché solitamente la Santa Sede la conceda nelle medesime circostanze. Lo stesso Ordinario del luogo può dispensare validamente dalle leggi diocesane e dalle leggi date dal Concilio plenario o provinciale e dalla Conferenza Episcopale (can. 88). Il can. 89 inoltre prevede che anche il parroco, gli altri presbiteri o i diaconi possano dispensare validamente da una legge universale e da una particolare, a condizione che tale potestà sia stata loro espressamente concessa.