Il diritto divino condiziona il divenire dell’ordinamento e ne specifica l’ambito di sovranità in due diverse prospettive. Il diritto divino per il diritto ecclesiastico comporta indicazioni negative (che devono essere limitate) e indicazioni positive in quanto il diritto divino costituisce principi normativi programmatici sulla produzione giuridica; il diritto divino è per questo un immoto motore. Tutti gli ordinamenti si devono svolgere nella coerente attuazione dei loro principi supremi.
Diritto divino = principi supremi della Chiesa. L’autorità ecclesiastica che provvede alla normazione deve relazionarsi con la divinità in conformità ad ogni altro legislatore. Tutto il diritto va ricondotto a Dio sua ultima fonte.
La funzione dinamica del diritto divino porta delle indicazioni circa il dover essere dell’ordinamento in prospettiva di salus animarum che sono evidenti laddove si tratti di norme di diritto divino a contenuto specifico di diretta efficacia ma possono essere anche raccolti in principi generali.
CARITAS: congloba l’amore e la giustizia ai quali l’uomo si deve conformare nel suo essere ad immagine di Dio e ci fa amare Dio per sé stesso sopra ogni altra cosa e il prossimo come noi stessi per amor di Dio.
Virtù distinta dall’amore naturale di Dio. L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è compito per ogni singolo fedele, ma anche un compito per l’intera comunità ecclesiale ad ogni suo livello. La caritas deve essere considerata come parametro della normazione canonica e anche come strumento interpretativo e di applicazione di questa concretezza della casistica. La caritas impone deduzioni, ragionamenti, consequenzialità rilevanti nel sociale cioè nell’ambito dove si deve svolgere il diritto. Per spiegare la rilevanza pratica della caritas bisogna accostarla al concetto astratto di fides _ per dare rilevanza alle relazioni che correvano tra chi poteva usufruire dello ius civile e di buona parte dello ius honorarium si utilizzò la fides per creare istituti, per identificare criteri idonei a risolvere controversie, per attribuire l’imperium ad apposita magistratura.
La Chiesa esiste solo per il disegno misterioso di Dio che si rivela storicamente in Gesù Cristo e nella sua opera di salvezza. La legge ecclesiastica potrebbe essere definita come ordinatio fidei. Non vi è contrasto tra ragione e natura di Dio. La razionalità dell’uomo è una proiezione logica e derivativa del suo essere stato creato ad immagine. La legge canonica và considerata come una ratio che il legislatore esprime deducendo dalla Rivelazione intesa siccome complesso normativo inderogabile.
Per quanto riguarda il diritto divino, la funzione dinamica non può essere intesa nel senso stretto del termine, in quanto ad esso và attribuita una diversità di gradazione nella “forza” normativa. Dal diritto divino si fa derivare il principio della necessità del processo o quello fondante il diritto di difesa che richiedono del tempo per il loro svolgimento ma non per il resto che è caratterizzato da immediatezza ed originalità di derivazione dalla volontà che si legifera.
Il dover essere è perseguito dalla Chiesa anche con riferimento a quei diritti soggettivi che sono essenziali sia per la persona sia lo status di christifidelis (diritti insiti nella persona). Esistono nella Chiesa delle norme che non sono di diritto naturale ma che vengono comunque qualificate in quanto sono diffusamente considerate
irrinunciabili per definire i rapporti tra persona ed ordinamento; recepiscono una razionalità che proviene dalla civiltà e che si armonizza con quella del diritto naturale. Per applicare le norme esse devono essere valutate nella loro razionalità e collegate al contemporaneo.
La presunzione di costituzionalità riguarda due generi di prospettazioni:
· Fattispecie delineate con i termini di generalità ed astrattezza che possono informare la norma canonica. L’eventuale giudizio di incostituzionalità spetta al titolare della sovranità.
· I filosofi e i giuristi hanno ipotizzato e preteso dai loro ordinamenti il correttivo di aequitas intesa come relaxatio che trova le aspirazioni nelle valutazioni del giudice; resta comunque ristretta agli spazi di ciascun ordinamento. Can 19 Se su una determinata materia manca una espressa disposizione di legge sia universale sia particolare o una consuetudine, la causa, se non è penale, è da dirimersi tenute presenti le leggi date per casi simili, i principi generali del diritto applicati con equità canonica, la giurisprudenza e la prassi della Curia Romana, il modo di sentire comune e costante dei giuristi. L’aequitas canonica ha soprattutto il significato di iconiche esprime la sostanza di contenuto dell’ordinamento, è fonte conoscitiva che si trasforma in fonte produttiva di diritto in quanto conferisce chi è chiamato a dare applicazione al diritto ecclesiastico un potere correttivo ed integrativo dei precetti di fonte umana.
Il diritto divino pone dei precetti che sono giusti in sé e cioè validi per gli uomini di tutti i tempi, tali precetti sono generali ed astratti e realizzano una giustizia sostanziale indubitabile. Il diritto ecclesiastico deve tendere alla soddisfazione delle necessità singolari nella concretezza delle situazioni.
Giustizia sostanziale ≠ giustizia formale