La costituzione “Lumen gentium” dice che l’unione collegiale appare anche nelle relazioni tra i singoli Vescovi e le Chiese particolari e la Chiesa universale; poi aggiunge che varie Chiese, in vari luoghi, si sono costituite in vari raggruppamenti (“coetus”) organicamente congiunti che godono di una propria disciplina. La natura collegiale dell’episcopato è incompatibile con la concezione individualistica di tale ministero, esercitato dal suo titolare per il bene della Chiesa. Il Vaticano II dice che i singoli Vescovi esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la Chiesa universale; ma in quanto membri del Collegio episcopale sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che contribuisce al bene della Chiesa universale.

Nel corso della storia la coscienza della natura collegiale dell’episcopato e le esigenze di un più efficace svolgimento delle funzioni pastorali e di governo, hanno portato allo sviluppo di forme di esercizio congiunto dando vita a raggruppamenti di Chiese. Questi raggruppamenti non sono espressione di collegialità in senso stretto o perfetta poiché vi partecipano solo i Vescovi di un determinato territorio e sono prive di quegli attributi e prerogative di governo supremo della Chiesa.

Come sono anche privi delle prerogative del singolo Vescovo, che per istituzione divina è all’interno della diocesi l’esclusivo titolare della potestà di governo (can. 135). Si tratta quindi di istituzioni di diritto ecclesiastico che manifestano la permanente operatività nel sistema di governo della Chiesa di un’affectio collegialis, una delle sue peculiarità, in grado di conformare l’esercizio individuale del potere secondo le esigenze della comunione ecclesiale. I principali raggruppamenti o “coetus” sono le province e regioni ecclesiastiche, le diocesi suffraganee raccolte attorno al Metropolita, i concili particolari e le conferenze episcopali.

 

Le province e le regioni ecclesiastiche

Le province ecclesiastiche sono circoscrizioni territoriali, dotate ipso iure di personalità giuridica, che riuniscono le diocesi tra loro più vicine al fine di promuovere un’azione pastorale comune e per favorire i rapporti dei Vescovi diocesani (can. 431). Ciascuna diocesi inclusa all’interno del territorio deve far parte della provincia, che può essere costituita, soppressa o modificata solo dalla suprema autorità della Chiesa (can. 431). Le province ecclesiastiche più vicine possono essere congiunte dalla Santa Sede in regioni ecclesiastiche, su proposta della Conferenza episcopale e a cui può essere attribuita personalità giuridica. A questo istituto spetta favorire la cooperazione e l’attività pastorale comune (cann. 433 – 434).

Presiede la provincia ecclesiastica il Metropolita, che è l’Arcivescovo della diocesi in cui è preposto, in genere la sede episcopale, determinata o approvata dal Pontefice (can. 435) che poi corrisponde alla città più importante del territorio (sede metropolitana). Per le altre diocesi, dette suffraganee, spetta al Metropolita vigilare sull’osservanza della fede e della disciplina ecclesiastica e di informare il Pontefice su eventuali abusi, senza poter interferire direttamente sulla diocesi (can. 436).

 

I concili particolari

Sono istituzioni dotate di potestà di governo, soprattutto legislativa, che riuniscono i Vescovi di un determinato territorio quando le circostanze lo suggeriscono. Possono essere di due tipi: plenari e provinciali. Il concilio plenario riunisce i Vescovi di tutte le Chiese particolari della medesima Conferenza episcopale, a cui competono vari compiti: convocarlo con l’approvazione della Sede Apostolica, scegliere il luogo, eleggerne il presidente approvato dalla Santa Sede, determinarne la procedura, le questioni da trattare, l’inizio e la durata e il suo scioglimento (cann. 439, 441).

Il concilio provinciale raccoglie le diverse Chiese particolari della medesima provincia ecclesiastica, viene celebrato ogni volta che risulti opportuno alla maggioranza dei Vescovi diocesani (can. 440). Il Metropolita presiede il concilio e, col consenso della maggioranza dei Vescovi suffraganei, ha il compito di convocarlo, scegliere il luogo, determinare la procedura e le questioni da trattare, indire l’apertura e la durata, trasferirlo, prorogarlo o scioglierlo (can. 442).

A questi concili devono essere convocati e hanno voto deliberativo tutti i Vescovi del territorio (diocesani, coadiutori, ausiliari, titolari); devono essere chiamati ma con voto consultivo i vicari generali e episcopali delle Chiese particolari del territorio, una rappresentanza dei superiori maggiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica, i rettori delle università ecclesiastiche e cattoliche, i decani delle facoltà di teologia e diritto canonico del territorio; possono essere chiamati con voto meramente consultivo anche i presbiteri e altri fedeli (can. 443).

I concili particolari hanno competenza di carattere generale, cioè cura che si provveda nel proprio territorio alle necessità pastorali del popolo di Dio e per questo scopo dispone di potestà di governo, soprattutto legislativa, cioè per decidere ciò che risulta opportuno per l’incremento della fede, per ordinare l’attività pastorale comune, per regolare i costumi e per conservare, introdurre, difendere la disciplina ecclesiastica (can. 445).

Il Vescovo diocesano gode, all’interno della diocesi, di ampi poteri di dispensa dall’osservanza delle leggi disciplinari emanate dalla suprema autorità della Chiesa (can. 87) e inoltre lo stesso Ordinario del luogo può dispensare validamente dalle leggi diocesane, dei concili particolari o della conferenza episcopale (can. 88). Una volta concluso, i relativi atti del concilio devono essere trasmessi alla Sede Apostolica, che deve concedere la recognitio dei decreti da esso emanati, prima della loro promulgazione (can. 446).

 

Le conferenze episcopali

Rivestono un ruolo fondamentale nella strutturazione e nell’azione della Chiesa nel mondo. Sono sorte spontaneamente già nella seconda metà del XIX secolo, poi con il Concilio Vaticano II (il decreto “Christus Dominus”) e il codice del 1983 hanno avuto una disciplina di diritto comune per tutta la Chiesa. Organismo permanente, consiste in un’assemblea dei Vescovi di una nazione o di un territorio, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio (can. 447). Il codice esprime un favore per la dimensione nazionale delle conferenze episcopali, ma prevede esplicitamente anche territori di ampiezza minore o maggiore (can. 448). La loro erezione, soppressione o modifica spetta unicamente alla suprema autorità della Chiesa e godono ipso iure della personalità giuridica (can. 449).

Ne sono membri di diritto tutti i Vescovi diocesani del territorio e coloro ad essi equiparati, i Vescovi coadiutori, i Vescovi ausiliari e gli altri Vescovi titolari che svolgono nel territorio uno speciale incarico; possono essere invitati anche gli Ordinari di un altro rito con voto solo consultivo (can. 450). Queste conferenze godono di autonomia statuaria, cioè elaborano i propri statuti, soggetti alla recognitio da parte della Santa Sede, dove sono regolati i principali organi interni: riunione plenaria, consiglio permanente, segreteria generale.

Ogni conferenza elegge al suo interno il proprio presidente e il segretario generale (can. 452). L’organo deliberativo è la riunione plenaria, può infatti emanare decreti generali aventi valore legislativo; si tiene almeno una volta l’anno o secondo le necessità; ne fanno parte con voto deliberativo i Vescovi diocesani, quelli ad essi equiparati e i Vescovi coadiutori, invece i Vescovi ausiliari e i Vescovi titolari hanno voto deliberativo o consultivo a seconda dello statuto (can. 454).

Il consiglio permanente è l’organo esecutivo, la sua composizione è stabilita negli statuti, ha il compito di portare ad esecuzione le delibere assunte nella riunione plenaria e preparare le questioni da trattare in quella sede (can. 457). La segreteria generale ha una funzione di ausilio e di redazione degli atti, provvede inoltre a comunicare alle conferenze episcopali confinanti gli atti e i documenti secondo le indicazioni ricevute. La potestà deliberativa però incontra un doppio limite, di materia e di quorum deliberativo, inoltre i decreti sono soggetti ad un controllo preventivo da parte della Santa Sede.

Quindi possono emanare decreti solo nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale o se lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica, sia motu proprio sia su richiesta (can. 455); nelle altre materie rimane la competenza di ogni singolo Vescovo diocesano e la conferenza episcopale non può agire in nome di tutti i Vescovi se non con il loro consenso unanime (can. 455). Per l’approvazione dei decreti generali si richiede nella riunione plenaria il voto di almeno 2/3 dei membri con voto deliberativo, infine questi decreti sono soggetti alla recognitio della Santa Sede (can. 455).

Questo procedimento ha lo scopo di non pregiudicare le prerogative dei singoli Vescovi diocesani e l’autonomia della Chiesa particolare. Infatti da un lato le conferenze episcopali rappresentano la sede più adeguata per affrontare efficacemente delle questioni, dall’altro esse sono semplici organismi la cui istituzione non può alterare l’originaria costituzione divina della Chiesa, che assegna ai singoli Vescovi il compito di pastori.