Un famoso testo di s. Girolamo, riportato nel Decretum di Graziano, inizia precisando che esistono due categorie di fedeli (“Duo sunt genera christianorum”). Questo manifesta la radicalizzazione, nell’età medievale, della distinzione fra chierici e laici e l’accentuazione del processo di “clericalizzazione” poiché il Decretum di Graziano viene inserito nel Corpus Iuris Canonici, entrando a far parte delle fonti del diritto canonico del tempo. Il testo spiega che i cristiani si dividono in due categorie: nella prima troviamo sia i deputati al culto divino (chierici) sia coloro che ricercano il miglioramento dei propri costumi attraverso la scelta di un preciso stato di vita (monaci); nella seconda troviamo i fedeli laici che, come spiega san Girolamo, solo coloro a cui è permesso possedere beni temporali per i propri bisogni, sono autorizzati a sposarsi… possono essere salvati se evitano i vizi e fanno del bene.
Questo testo mostra una concezione clericale della Chiesa quindi manifesta una riaffermazione della Chiesa come società ineguale; al tempo stesso riflette una gerarchia di valori, mostrando una concezione restrittiva del fedele laico poiché vista come concessione alle umane debolezze e quindi non come la condizione migliore. Ci sono molte ragioni per questo modo di pensare ai fedeli laici ma principalmente sono due. Nel medioevo la rivendicazione della libertà della Chiesa (libertas Ecclesiae) da parte del Papato nei confronti del potere civile ebbe un forte influsso nella distinzione tra chierici e laici; in sostanza l’istituzione ecclesiastica lottò col potere imperiale per emanciparsi dalla sudditanza e riacquistare la propria autonomia. Questo ha portato ad un processo di identificazione della Chiesa con il ceto clericale perché la libertà della Chiesa dal potere secolare fu perseguita attraverso la progressiva emarginazione dei laici.
Nell’età moderna, invece, ci fu il Concilio di Trento che dovette reagire alla riforma protestante di Martin Lutero, riaffermando l’importanza della mediazione ecclesiale tra il fedele e Dio. Per questo si è dovuta rimarcare l’esistenza di un sacerdozio ordinato e distinto dalla comunità dei fedeli; infatti il Concilio si occupò quasi esclusivamente del clero. Dopo Trento la distinzione tra chierici e laici si accentuò fino al codice del 1917 compreso. In conclusione alla prima età della Chiesa chierici e laici svolgono un ruolo attivo nella comunità ecclesiale, segue un lungo periodo in cui si radicalizza la distinzione tra chierici e laici, i primi chiamati a svolgere un ruolo attivo nella Chiesa (populus ducens), i secondi chiamati a svolgere un ruolo passivo (populus ductus).
Questa separazione si prolunga fino al Concilio Vaticano II il quale opera una rivalutazione del laicato, attraverso un approfondimento della natura della Chiesa. Il Concilio, senza negare le concezioni gerarchico – giuridiche della Chiesa come istituzione e carismatico – spirituale come Corpo Mistico di Cristo, presenta la Chiesa come popolo di Dio, cioè comunità dei fedeli. Nella Lumen gentium, con il termine laici si intendono tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa. Nel decreto conciliare sull’apostolato dei laici “Apostolicam actuositatem” si dice che nella Chiesa c’è diversità di ministero ma unità di missione, cioè anche i laici hanno il proprio compito nella missione del popolo di Dio. Quindi la missione della Chiesa non è esclusiva né si identifica con quella dei chierici ma è propria di tutto il popolo di Dio.
Ovviamente il fedele laico ha un ministero diverso da quello dei chierici in ragione della sua condizione secolare, ovviamente la sua vocazione è cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali, deve santificare sé stesso ed il mondo in cui vive. Dopo il Concilio Vaticano II il laico viene inteso come la Chiesa stessa nel mondo. Il codice di diritto canonico disciplina lo stato dei fedeli laici con una serie di disposizioni che possono essere sistematizzate secondo una triplice prospettiva (cann. 224 – 231). Innanzitutto le disposizioni che riguardano la partecipazione dei fedeli laici all’unica missione della Chiesa, ad esempio can. 225 per il quale i fedeli laici hanno il diritto e il dovere di lavorare perché il messaggio di salvezza sia conosciuto e fatto proprio da tutti gli uomini, soprattutto in quelle circostanze concrete nelle quali l’azione dei chierici è difficile o impossibile.
Perciò i fedeli laici godono nell’ordinamento giuridico di una vera eguaglianza sostanziale, che comporta la titolarità dei diritti e dei doveri relativi a tutti i fedeli (can. 224). La caratteristica dei fedeli laici è data dal compito di ordinare le cose temporali in conformità con lo spirito evangelico e di rendere testimonianza di Cristo nella trattazione delle cose temporali (can. 225). I fedeli laici hanno anche una specifica funzione all’interno della Chiesa, ad esempio i laici possono presiedere associazioni pubbliche di fedeli (can. 317), possono partecipare ai concili particolari e provinciali (can. 443), possono prendere parte al sinodo diocesano (can. 460), entrano a comporre il consiglio pastorale diocesano e parrocchiale (can. 512), possono essere consultati sulla nomina dei Vescovi e dei parroci (can. 377), sono chiamati a cooperare col parroco (can. 519), possono essere uditi dall’Ordinario del luogo per la predisposizione pastorale della famiglia (can. 1064).
Per quanto riguarda la funzione dei laici nel mondo, cioè contribuire alla santificazione del mondo, anche qui ci sono diversi canoni. Ad esempio il can. 226 dispone che coloro che vivono nello stato coniugale sono tenuti all’obbligo di lavorare ad edificare il popolo di Dio attraverso il matrimonio e la famiglia; nel can. 227 viene riconosciuta ai fedeli laici la libertà nelle cose civili che spetta a tutti i cittadini. Si tratta di norme di principio chiamate a costituire criteri di interpretazione delle più specifiche disposizioni riguardanti i fedeli laici. A proposito del matrimonio il diritto canonico non tende a definire il fedele laico in relazione allo status coniugale, poiché il matrimonio è la condizione di vita più comune tra i laici. Il diritto vigente nella disciplina di matrimonio e famiglia tiene conto di una duplice prospettiva, interna ed esterna.
All’interno della famiglia i coniugi devono essere apostoli reciprocamente e devono essere i primi annunciatori di Cristo ai propri figli, verso l’esterno devono offrire viva testimonianza della santità e della indissolubilità del matrimonio cristiano. Il codice contiene un’ampia parte dedicata al matrimonio sacramento, ma prevede anche disposizioni relative alla famiglia che riguardano profili più attinenti alle competenze della Chiesa. In relazione ai rapporti tra genitori e figli, mantenendo l’antico primato dell’eguaglianza tra i coniugi, pone a carico di entrambi i genitori l’obbligo di formare i figli nella fede cristiana (can. 774); inoltre i genitori hanno il diritto – dovere di educare la prole e hanno il diritto di ricevere un aiuto dalla società civile per provvedere all’educazione cattolica dei figli (can. 793); hanno il diritto di scegliere liberamente la scuola per i propri figli (can. 797) ma hanno il dovere di scegliere una scuola che dia un’educazione cattolica ai propri figli (can. 796). Soprattutto su entrambi i genitori grava l’obbligo di seguire i propri figli per ricevere a tempo debito i sacramenti.