Per evitare di compromettere lo stesso diritto all’azione, la giurisprudenza ha riconosciuto al ricorrente che abbia già impugnato un provvedimento di integrarlo con i motivi aggiunti qualora venga a conoscenza di un ulteriore vizio una volta scaduto il termine per l’impugnazione:
- originariamente i motivi aggiunti erano l’atto processuale col quale il ricorrente modificava la domanda, facendo valere anche i vizi del provvedimento impugnato dei quali fosse venuto a conoscenza solo dopo la notifica del ricorso;
- una parte della giurisprudenza ha ritenuto che il ricorrente, con i motivi aggiunti, potesse introdurre nel giudizio non solo vizi ulteriori dell’atto impugnato, ma anche vizi di altri provvedimenti, purché ad esso connessi. L’impugnazione con motivi aggiunti, in questo caso, realizzerebbe esigenze di economia processuale e consentirebbe al giudice di decidere la vertenza sulla base di una conoscenza più completa dei fatti.
Questa soluzione è stata accolta dall’art. 43 co. 1, il quale, oltre ad ammettere che con i motivi aggiunti possano essere proposte nuove domande a sostengo delle domande già proposte , stabilisce che con le stesse modalità possano essere proposte domande nuove purché connesse a quelle proposte. Nello stesso tempo il codice esclude che l’impugnazione di un atto sopravvenuto con un ricorso autonomo (non con motivi aggiunti) determini irregolarità processuali. L’unica conseguenza del ricorso autonomo, nel caso di impugnazione di atti connessi, è il dovere per il giudice di procedere alla riunione dei ricorsi (co. 3) ex art. 70.
I motivi aggiunti, rispecchiando caratteri comuni al ricorso, presentano una disciplina modellata su quella di quest’ultimo (es. notifica, deposito). In particolare, i motivi aggiunti devono essere notificati alle altre parti del giudizio entro sessanta giorni dalla conoscenza dei nuovi documenti. A tal proposito il codice stabilisce che, quando l’amministrazione depositi documenti in giudizio, la segreteria del Tar dia comunicazione del deposito alle parti costituite (art. 46 co. 3).