Proprio perché generale è indubbiamente la giurisdizione più significativa che caratterizza il G.A.

La giurisdizione generale di legittimità è la giurisdizione nella quale il G.A. conosce della legittimità di qualunque provvedimento amministrativo con riferimento ai vizi di legittimità individuati dalla legge del 1889: incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere.

Essa determina l’attribuzione al G.A. del potere di annullamento del provvedimento: si tratta di una funzione per la quale tale giudice è stato originariamente istituito.

Questa giurisdizione, tuttavia, con il passare del tempo ha subito un ampliamento, dovendosi ricomprendere nella medesima anche ipotesi nelle quali non vi è la contestazione di un vero e proprio provvedimento amministrativo ma piuttosto di un simulacro di atto: ci riferiamo all’ipotesi di una contestazione avente ad oggetto il silenzio-inadempimento della P.A.

La giurisdizione generale di legittimità è limitata in riferimento al potere di decisione, nel senso che il G.A. potrà solo annullare l’atto illegittimo, ma non potrà riformarlo né sostituirlo. Il giudice quindi, in tale sede, si deve limitare ad adottare pronunzie caducatorie che indubbiamente rendono meccanicistica l’azione del giudice, che viene temperata solo con l’uso del giudizio di ottemperanza.

Quanto detto deve necessariamente essere correlato con le riforme intervenute nel 2005, ci riferiamo alle leggi 15 e 80 del 2005.

In particolare la l. 15/2005, all’art. 21 octies ha attribuito al G.A. la possibilità di non annullare il provvedimento amministrativo, sia pure illegittimo in due ipotesi:

  1. provvedimenti viziati da violazione di norme attinenti la forma o il procedimento, allorché gli stessi siano vincolati e nel corso del giudizio risulti palese che il loro contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello risultante dall’atto in concreto adottato, pur in assenza dei vizi denunciati;
  2. ogni tipo di provvedimento, sia discrezionale che vincolato, non può essere annullato nell’ipotesi in cui non sia stata inoltrata la comunicazione di avvio del procedimento, se la P.A. dimostra in giudizio che l’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato e che quindi l’apporto partecipativo della parte pretermessa non avrebbe apportato alcuna utilità.

La disposizione in sostanza legittima il G.A. a sostituirsi alla P.A.

In linea con questa previsione, la successiva l. 80/2005 ha riconosciuto al G.A. la possibilità di pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza in caso di ricorso avverso un silenzio inadempimento o silenzio rifiuto che dir si voglia.

L’espressione significa che il giudice potrà pronunciare se il ricorrente aveva effettivamente titolo ad ottenere il provvedimento favorevole richiesto e, in ipotesi, concludere nel senso di condannare l’amministrazione ad adottarlo; l’azione può essere qualificata in termini di azione di adempimento.

Anche questa disposizione, quindi, riconosce al G.A. dei poteri che vanno al di là dei normali poteri caducatori tradizionali della giurisdizione amministrativa di legittimità, tanto che alcuni autori hanno addirittura supposto si trattasse di una specie di giurisdizione di merito: ipotesi questa non condivisibile posto che essa ha carattere eccezionale; per cui se il legislatore avesse voluto effettivamente determinare un ampliamento si sarebbe con certezza espresso in termini diversi.

Anche in questo caso il Codice è intervenuto disciplinando in modo specifico l’azione nei confronti del silenzio della pubblica amministrazione, all’art. 31, ma limitando la possibilità del giudice di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio ai casi in cui:

  • si tratti di attività vincolata
  • risulti che non residuano ulteriori margini si esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione.

La tutela nei confronti del silenzio non è però stata qualificata come azione di adempimento.

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