L’art. 7 co. 3 conferma l’articolazione della giurisdizione amministrativa in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito. L’art. 7 co. 4 considera specificatamente la giurisdizione di legittimità, stabilendo che sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. Tale articolo deve tuttavia essere letto considerando la tutela degli interessi legittimi: la giurisdizione di legittimità è generale proprio perché ha ad oggetto la garanzia degli interessi legittimi, affidati alla giurisdizione amministrativa dalla stessa Costituzione. Questo deve essere il criterio per l’interpretazione delle disposizione del codice del processo amministrativo.

 Nei casi di giurisdizione di legittimità la decisione sugli interessi legittimi può comportare la necessità di una pronuncia (incidenter tantum) anche rispetto ai diritti soggettivi. Eliminando qualsiasi dubbio, la l. n. 2840 del 1923 ha sancito espressamente che il Consiglio di Stato può decidere le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale di sua competenza. Nel caso in cui la pronuncia su diritti costituisca un logico e necessario antecedente della decisione sugli interessi legittimi, quindi, non si forma giudicato con riferimento ai diritti (es. in caso di diniego di un’autorizzazione per un’attività di impresa motivato con il fatto che il richiedente non ha poteri di rappresentanza dell’impresa, la pronuncia del giudice amministrativo non fa stato quanto all’accertamento della qualifica di rappresentante).

Rispetto alla giurisdizione di merito, la giurisdizione di legittimità appare qualificata dalla diversa ampiezza dei poteri decisori del giudice. Nei casi di giurisdizione di legittimità, in particolare, il giudice che accolga un ricorso proposto contro un provvedimento può annullare l’atto impugnato ma non può sostituirlo con un proprio atto.

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