La sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva (art. 33 co. 2): se non sia intervenuta la sospensione della sentenza, l’amministrazione è tenuta a dare esecuzione alla pronuncia del giudice, adottando tutti i comportamenti e gli atti necessari per portare a compimento quanto in essa disposto. In proposito devono essere considerati le varie tipologie di effetti delle sentenze:
- effetti eliminatori (o ripristinatori), che comportano il dovere per l’amministrazione di eliminare il provvedimento annullato e di ripristinare la situazione precedente;
- effetti rinnovatori, rispetto ai quali rileva l’effetto conformativo della sentenza, particolarmente evidente in ipotesi quali l’annullamento di un provvedimento negativo.
Il dovere dell’amministrazione di dare esecuzione alla sentenza rischia di scontrarsi con il mutamento del sistema normativo che disciplina la materia del giudizio (sopravveniente):
- il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale indurrebbe a sostenere che in questi casi l’amministrazioni sia tenuta a provvedere ora per allora , ossia a riesaminare la domanda del cittadino illegittimamente respinta e a dare esecuzione alla sentenza di annullamento applicando la disciplina in vigore all’epoca della domanda;
- la giurisprudenza sostenne a lungo che l’amministrazione non potesse prescindere dall’applicazione della disciplina sopravvenuta. Il Consiglio di Stato (sent. n. 1 del 1986), tuttavia, ha temperato questa conclusione, sostenendo che le modifiche del sistema normativo prevalgono solo se siano precedenti alla notifica della sentenza di primo grado. Le modifiche successive, al contrario, vanno considerate irrilevanti e non possono essere opposte al dovere di eseguire la sentenza.
Nel codice del processo amministrativo si coglie l’obiettivo di anticipare l’esecuzione della sentenza: su domanda del ricorrente, infatti, nella sentenza di merito il giudice amministrativo può fissare un termine per l’esecuzione e nominare un commissario per il caso che l’amministrazione si renda inadempiente (art. 34 co. 1 lett. e).
Se la sentenza non viene eseguita spontaneamente, si prevede il giudizio di ottemperanza, un giudizio di esecuzione che si svolge davanti al giudice amministrativo. Il codice ammette per le sentenze del giudice amministrativo anche una esecuzione nelle forme del libro III del codice di procedura civile. Tale possibilità, tuttavia, sembra circoscritta alle sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro. L’esecuzione della sentenza del giudice amministrativo rappresenta un dovere specifico dell’amministrazione (connotazione istituzionale), sebbene la circostanza che la parte soccombente sia un soggetto privato non tolga nulla alla cogenza degli obblighi che derivano dalla sentenza del giudice amministrativo (art. 112 co. 1). Affermare che anche le parti private siano assoggettate all’esecuzione della sentenza amministrativa, tuttavia, induce a considerare con attenzione gli strumenti che dovrebbero garantire l’esecuzione nei confronti del privato:
- se la sentenza del giudice amministrativo si risolve in una condanna al pagamento di somme di denaro dovrebbe essere promossa l’esecuzione forzata nelle forme previste dal codice di procedura civile (art. 115 co. 2);
- se la sentenza del giudice amministrativo contiene statuizioni di altro tipo, l’esecuzione dovrebbe avvenire secondo le forme del giudizio di ottemperanza. In passato, dal momento che tale giudizio si risolveva in un intervento sostitutivo, si dubitava che potesse ammettersi anche nei confronti di un privato. Il codice del processo ha però attribuito al giudice dell’ottemperanza anche il potere di imporre alla parte che non esegue la sentenza il versamento di una somma di denaro al ricorrente (art. 114 co. 4 lett. e). Si tratta di uno strumento di esecuzione indiretta, che consente di individuare un margine di efficacia del giudizio di ottemperanza anche nei confronti di soggetti privati.