Accanto ad un nucleo di interessi legittimi che vengono pacificamente riconosciuti come tali, vi sono ancora casi in cui la classificazione della posizione soggettiva come diritto soggettivo o come interesse legittimo risulta essere discussa. L’esistenza di questi casi riflette la mancanza di un criterio certo e condiviso da tutti per identificare gli interessi legittimi. Per distinguere gli interessi legittimi dai diritti soggettivi, quindi, la giurisprudenza ha accolto una serie di criteri che sono talvolta invocati in via cumulativa:
- tesi della distinzione tra norme di azione e norme di relazione: secondo tale teoria l’ordinamento comprende norme di azione, che disciplinano un potere ed il suo esercizio (interessi legittimi), e norme di relazione, che disciplinano un rapporto intersoggettivo ed i suoi effetti (diritto soggettivo). L’utilità di questa distinzione, tuttavia, viene criticata:
- le norme di azione, determinando le condizione per l’esercizio di un potere nei confronti di altri soggetti, individuano anch’esse relazioni giuridiche intersoggettive;
- le norme di relazione non possono essere esaurite in una logica statica, ma vanno considerate in una logica dinamica, e in questo modo emerge chiaramente che finiscono anch’esse per individuare i poteri rispettivi delle parti riguardo ad un certo bene della vita;
- tesi della distinzione tra attività vincolata di interesse pubblico e attività vincolata di interesse privato:
- se il potere della pubblica amministrazione è discrezionale è sempre configurabile un interesse legittimo;
- se il potere amministrativo è vincolato si deve distinguere se il potere sia attribuito nell’interesse del cittadino (es. rilascio della carta di circolazione di un autoveicolo) o nell’interesse dell’amministrazione (es. interventi repressivi di attività abusive), e nel primo caso si ha un diritto soggettivo mentre nel secondo un interesse legittimo.
Il punto controverso di tale giurisprudenza, tuttavia, è rappresentato dalla bipartizione delle posizioni soggettive in presenza del potere vincolato dell’amministrazione, risultando impossibile capire in quali casi l’attribuzione di un potere vincolato sia funzionale ad un interesse pubblico e in quali sia funzionale ad un interesse privato;
- tesi della distinzione tra cattivo esercizio di potere e carenza di potere: secondo questa teoria nel caso di cattivo esercizio di potere (es. vizi di competenza) l’illegittimità del provvedimento non incide sulla sua efficacia ed è configurabile solo una posizione di interesse legittimo, mentre nel caso di carenza di potere (es. straripamento di potere) il vizio si riversa sulla stessa efficacia giuridica dell’atto e la posizione soggettiva del cittadino rimane quella originaria, individuabile in assenza dell’intervento dell’amministrazione. Se vi è carenza di potere, in particolare, l’amministrazione non esercita in modo efficace alcun potere e pertanto non è identificabile neppure un interesse legittimo.
La Cassazione ha cercato di elaborare una casistica completa dei casi di carenza di potere, dimostrandosi quindi consapevole della eccezionalità di tale figura nel sistema dei vizi dell’atto amministrativo. La l. n. 15 del 2005 ha distinto fra ipotesi di annullabilità dell’atto amministrativo e ipotesi di nullità, le quali si avrebbero nel caso del provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali e del provvedimento viziato da difetto assoluto di attribuzione ;
- tesi dei diritti costituzionalmente tutelati: recentemente la giurisprudenza prospetta una selezione delle posizioni giuridiche, individuandone alcune come dotate di una protezione giuridica qualitativamente maggiore e perciò non modificabili per effetto dell’esercizio di un potere amministrativo. Si tratterebbe in particolare:
- dei diritti personalissimi (es. integrità personale), sui quali l’amministrazione non può incidere per definizione;
- dei diritti definiti come tali dal legislatore anche in relazioni giuridiche di diritto pubblico (es. diritto all’indennità di esproprio);
- dei diritti ritenuti importanti sul piano costituzionale (es. diritto alla salute). In quest’ultimo caso, la rilevanza della posizione giuridica implicherebbe una sorta di rigidità originaria della stessa, tale da precludere qualsiasi compressione determinata da parte dell’amministrazione. Anche in presenza di atti dell’amministrazione, quindi, si configurerebbero sempre e comunque diritti soggettivi.
Appare tuttavia problematica la possibilità di desumere dalla Costituzione la natura di una posizione soggettiva e non è chiaro in base a quale criterio i diritti enunciati nella Costituzione possano a loro volta essere discriminati (es. diritto di proprietà che assume carattere di interesse legittimo).