Dato il carattere tipicamente successivo della tutela amministrativa, il ricorso al giudice viene inteso principalmente come strumento per impugnare un atto amministrativo al fine di ottenerne l’annullamento. Il risultato offerto dalla tutela costitutiva, quindi, è di regola l’annullamento del provvedimento impugnato. Solo nei casi di giurisdizione di merito è ammessa anche la riforma. Nel processo amministrativo l’azione di annullamento ha carattere generale, essendo sempre ammessa quando il giudice investe un provvedimento lesivo dell’amministrazione. L’azione di annullamento, peraltro, assolve anche ad una funzione necessaria: la contestazione della legittimità di un provvedimento, infatti, è ammessa solo se sia proposta un’azione di annullamento.
L’esito dell’azione di annullamento risulta del tutto analogo a quello che può essere perseguito attraverso propri atti della stessa amministrazione. L’annullamento del provvedimento illegittimo, quindi, non è un risultato infungibile, come è invece quello delle azioni costitutive necessarie (es. scioglimento degli effetti civili del matrimonio). L’annullamento in via amministrativa, tuttavia, presenta presupposti tipici, diversi ed ulteriori rispetto al riscontro da parte dell’amministrazione competente della sussistenza della lesione di un interesse legittimo. Di regola, in particolare, si richiede un interesse pubblico specifico.
L’azione di annullamento si presenta con caratteri sostanzialmente identici quando sia contestato, invece di un provvedimento amministrativo, l’effetto prodotto dal silenzio assenso. Dato che da tale silenzio derivano effetti costitutivi identici a quelli scaturenti dai provvedimenti, il potere di annullamento risulta configurabile quanto questi effetti siano illegittimi. La possibilità di un annullamento di ufficio del silenzio assenso, peraltro, è contemplata espressamente dall’art. 20 co. 1 della l. n. 241 del 1990.