Per stabilire l’effettiva appartenenza di certi poteri ad un’amministrazione pubblica, bisogna domandarsi se e quali poteri abbia in proposito il giudice, ossia se questo abbia o non abbia il potere di sostituire la propria decisione a quella dell’amministrazione:

  • con riferimento alla discrezionalità amministrativa, il giudice non potrà sindacare le decisioni che ne costituiscono l’esercizio: facendo riferimento al principio della divisione dei poteri, infatti, appare chiaro che il merito di una scelta discrezionale non può essere oggetto del sindacato di un giudice.

Questo, al contrario, potrà solamente verificare che l’amministrazione abbia rispettato i principi e le regole che delimitano l’ambito delle decisioni amministrative e stabiliscono i modi da seguire nel prenderle;

  • con riferimento alla discrezionalità tecnica, la soluzione prevalente è analoga alla precedente e due sono le motivazioni utilizzate per sorreggerla:
    • le risorse tecniche di cui dispongono le amministrazioni pubbliche sono normalmente più ampie di quelle di cui possono valersi i giudici;
    • il collegamento con l’insieme dei cittadini che le amministrazioni pubbliche mantengono attraverso gli apparati politici dà loro una legittimazione insostituibile nei casi in cui le incertezze sono effettivamente ineliminabili e quindi il criterio per la scelta tra diverse soluzioni non risulta più essere tecnico, quanto piuttosto politico;
    • con riferimento alla discrezionalità organizzativa, la soluzione adottata è ancora una volta analoga a quella relativa alla discrezionalità amministrativa, e forse a maggior ragione, dato che le decisioni di questo genere, in quanto attinenti alle funzioni strumentali, possono ripercuotersi su un numero molto alto di decisioni finali.

 Vanno tuttavia considerate altre due ipotesi, nelle quali il problema del rapporto tra poteri del giudice e poteri dell’amministrazione potrebbe porsi in termini diversi:

  • quella per la quale si è parlato di discrezionalità con riferimento alla valutazione di un presupposto di fatto (fatto da accertare o da valutare). In questo caso può sembrare paradossale che il merito della valutazione di un presupposto di fatto sia considerato insindacabile dal giudice (appare come un problema di interpretazione), tuttavia, quando l’esistenza della fattispecie costituente il presupposto del potere dell’amministrazione deve essere oggetto essa stessa di una valutazione a risultato opinabile, si può comprendere come la sostituzione del giudice nell’esercizio di tale valutazione possa essere negata;
  • quella nella quale la decisione espressa con l’atto amministrativo è vincolata priva di qualsiasi discrezionalità (ipotesi 1 e 3). In questo caso non vi è alcun motivo per escludere l’intervento del giudice: all’amministrazione, infatti, non viene riconosciuto un potere esclusivo di accertare i fatti e pertanto il giudice, qualora accerti l’esistenza del presupposto, è legittimato a negare l’esistenza di un potere decisionale dell’amministrazione.
  • quella in cui, in presenza di un dato presupposto, la legge preveda l’emanazione di un atto dell’amministrazione a contenuto vincolato (ipotesi 1). In questo caso non esistono ragioni analoghe alle precedenti che possano giustificare l’esclusione della possibilità che il giudice si sostituisca nella decisione, tuttavia può emergere dalla legge che il legislatore abbia ritenuto indispensabile l’esistenza dell’atto amministrativo, anche se a contenuto vincolato. In questo senso si può parlare di un potere vincolato dell’amministrazione, intendendosi che il giudice può affermare l’obbligo dell’amministrazione di emanare l’atto con quel determinato contenuto, restando comunque la necessità che tale atto sia emanato

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