La tradizione di un procedimento amministrativo, cioè di una procedura che precede l’adozione di una decisione della pubblica amministrativa, affonda le proprie radici nella giurisprudenza inglese, che fin dal Seicento stabilisce la regola secondo cui le amministrazioni pubbliche, prima di decidere, devono seguire una procedura che consenta agli amministrati di far sentire la loro voce, il cosiddetto “right to be heard”.

L’ordinamento francese era invece partito dalla sponda opposta, nel senso che non vi era spazio per un procedimento preliminare, ma vi erano solo rimedi successivi all’adozione del provvedimento, consistenti nel ricorso giurisdizionale al Conseil d’Etat.

Assume particolare rilevanza l’Administrative Procedure Act, legge statunitense del 1946, che conferisce agli amministrati la possibilità di formulare proprie osservazioni prima che la decisione amministrativa sia adottata. Dopo aver affermato la garanzia della voce, gli Stati Uniti riconoscono anche il diritto di accesso ai documenti amministrativi con il Freedom of Information Act del 1966.

Nella seconda metà del Novecento, sul modello statunitense, si diffondono le leggi generali sul procedimento amministrativo. In Germania nel 1976, in Italia nel 1990 ed infine in Francia nel 2016. Una normativa generale sul procedimento manca invece nel Regno Unito, dove però vi è una consolidata giurisprudenza che riconosce il “right to be heard”; vi è invece una legge sul diritto di accesso, entrata in vigore nel 2000.

In Italia la legge generale sul procedimento amministrativo è la legge 241/1990. Essa ha recepito dagli altri ordinamenti giuridici la finalità garantistica, basata sul riconoscimento all’amministrazione del diritto di vedere i documenti e di esprimersi ancora prima che la decisione sia presa. Oltre alle garanzie partecipatorie, si prevedono forme di semplificazione, come la conferenza di servizi e la segnalazione certificata di inizio attività.