In termini generalissimi per invalidità di un atto giuridico si intende che l’atto è in contrasto con una norma imperativa. Tale affermazione ha diverso valore in diritto privato e in diritto amministrativo, per la diversità dei 2 ordinamenti, e per il carattere cogente o meno delle relative norme. Infatti nel diritto privato le norme hanno carattere dispositivo, e possono cioè essere derogate dalla volontà delle parti, salvo eccezioni; cosa questa, che non accade invece nel diritto amministrativo, visto che la sua normazione ha sempre carattere cogente, salvo rarissime eccezioni. Di conseguenza, l’area di invalidità amministrativa è assai più ampia rispetto a quella del diritto privato.

Un’altra distinzione riguarda il contenzione, vasto nel campo amministrativa, esiguo in quello privato e il procedimento, fondamentale in diritto amministrativo, mentre è irrilevante la fase preparatoria nel diritto amministrativo. Anche questi dati estendono l’area di invalidità amministrativa. Essa infatti può rilevarsi per ogni atto produttivo di effetti (come il provvedimento) perché il contrasto con le norme imperative può riscontrarsi in ogni fase del procedimento che lo riguarda. Quindi, ogni qualvolta vi è un contrasto tra norme imperative e atto amministrativo, in principio, ciò dà luogo a invalidità.

Ma c’è altro, che distingue ancora di più la disciplina amministrativa da quella comune. Sappiamo infatti che ogni attività amministrativa deve essere rispettosa della legge, ma anche nell’ambito della propria discrezionalità (che non significa libertà, né autonomia, ma una situazione di vincolo parziale: vincolo del fine, e criteri di ragionevolezza), può essere sindacata, e pur sussistendo la conformità ala legge, può essere sindacato il rispetto a quei principi e criteri che ne regolano l’attività. È per questo che quanto detto all’inizio appare riduttivo. Per invalidità nell’ambito amministrativo, non può intendersi solo il contrasto con norme imperative, ma deve intendersi anche il contrasto dell’esercizio del potere con i principi e criteri assunti a regola della discrezionalità amministrativa. È per questo che l’invalidità amministrativa è assai più penetrante di quella comune.

L’invalidità può essere totale o parziale.

Di regola l’invalidità di singoli elementi dell’atto produce l’invalidità dello stessa in tutta la sua interezza, solo se questi elementi hanno valore essenziale (senza questi elementi l’atto non esisterebbe come tale o non sarebbe nato):quindi il problema va risolto caso per caso. Al riguardo va tenuta presente la distinzione tra provvedimenti scindibili e inscindibili. I primi sono solo formalmente unici , ma in sostanza plurimi, scindibili, cioè, in una pluralità di atti. Es. un giudizio di idoneità per l’accesso al ruolo dei professori, è un atto solo formalmente unico, ma scindibile in + giudizi che riguardano + soggetti ritenuti idonei. E quindi se ad es. questi requisiti risultano invalidi, l’atto sarà invalido solo relativamente al soggetto la cui idoneità è discussa, mentre restano salvi gli altri giudizi di idoneità.

Ovviamente però anche se si parla di scindibilità, l’invalidità a seconda dei casi può essere anche totale. Se infatti nel caso precedente a risultare invalida è la composizione della commissione del giudizio, ciò comporta sicuramente l’invalidità dell’intero atto di idoneità. Anche per quanto riguarda gli atti unici nella forma e nella sostanza si pongono problemi, e si valuta se l’invalidità di singole clausole anche se di parti sostanziali, investano tutto l’atto o comportino l’annullabilità della sola clausola affetta. Si tratta in queste circostanze di stabilire se il contenuto della singola disposizione nulla , invalida, sia un momento essenziale della volontà , un presupposto di essa, e se non lo è la nullità si limita solo alla singola disposizione senza inficiare l’intero atto.

Insomma,è fondamentale valutare se la volontà dell’amministrazione comunque si sarebbe espressa, a prescindere da quel determinato punto o no, valutazione , questa, che è conforme al diritto comune. La validità o meno dell’atto, inoltre si verifica in base alla disciplina giuridica in vigore nel determinato momento in cui l’atto stesso si perfeziona, quando cioè l’atto stesso viene adottato. Se inoltre viene dedotta l’invalidità di un atto del procedimento dovrà farsi riferimento al momento in cui lo stesso atto viene posto in essere, e non quando il provvedimento si perfezione con l’adozione dell’atto finale, visto che ciascun atto è di per sé fattispecie chiusa, anche se si rinvengono molte eccezioni al principio. Una riguarda gli atti sottoposti a controllo preventivo, cosa però dubbia e forse valida solo nei casi di immediata esecuzione, quando cioè l’atto non ha ancora avuto esternazione. Altre eccezioni si pongono in sede di esecuzione del giudicato amministrativo, se ad es. in caso di accoglimento di ricorso avverso al rifiuto di permesso di costruire, la normativa che si dovrà seguire quando l’atto sarà emanato sarà quella vigente al momento della decisione del giudice.

Per regola, successive modifiche legislative non incidono sugli atti già perfezionati, anche se vi possono essere casi in cui ciò accade ( cd. invalidità sopravvenuta), quando cioè si tratta di norme successive ad effetto retroattivo. In questo caso la norma successiva produce l’invalidità ex post anche di quegli atti che erano validi al momento della loro emanazione. E lo stesso vale in seguito a sentenze costituzionali che dichiarino l’illegittimità di norme, rispetto ad atti impugnati ed emanati sulla base delle stesse.

Fenomeno analogo si ha in caso di annullamento di un atto presupposto rispetto a quello consequenziale. Es. se si annulla l’atto conclusivo di un concorso pubblico,si pone il problema degli atti di nomina dei vincitori, ecc… si forma cioè anche qui una situazione di invalidità derivata dell’atto, prodotta dall’annullamento dell’atto presupposto. Un altro problema che si pone è la sorte di un contratto stipulato sulla base di un provvedimento annullato. La giurisprudenza ritiene che il contratto sia annullabile dall’amministrazione contraente, anche se emergono posizioni diverse , dalla nullità del contratto dichiarata dal giudice amministrativo o inefficacia del contratto che può farsi valere dal soggetto che ha ottenuto dall’annullamento.

La violazione di regole o norme di redazione non dà luogo a nullità ma solo ad irregolarità (cd. debole) , che non comporta alcune conseguenza sull’atto che resta VALIDO ma può avere conseguenze di ordine sanzionatorio in capo agli autori materiali dell’atto stesso. Tale irregolarità poi deve essere sanata e questo onere è connesso al principio del buon andamento e della correttezza. Al riguardo la l. proc. Amm. introduce delle novità restringendo l’ambito dell’invalidità per contrasto a norme cogenti che però si traduca in irregolarità , che quindi tale violazione abbia rilievo solo formale (forte irregolarità).