L’esternazione scritta

In Italia, non vi sono regole generali che impongano una determinata_ forma di esternazione: quindi, si afferma normalmente il principio della libertà delle forme di esternazione. Tuttavia, la forma normale è senz’altro quella scritta, che in molti casi è imposta dalle norme: per esempio, quando sono previsti pareri o controlli sull’atto, quando è prescritta la comunicazione all’interessato o la pubblicazione, quando il provvedimento deve recare elementi come la data, la sottoscrizione o la denominazione (per esempio, i regolamenti del governo devono recare la denominazione ”regolamento”: art. 17, legge n. 400/1988). Anche l’obbligo di motivazione fa sì che il provvedimento sia esternato per iscritto: anche se è ipotizzabile una motivazione orale, è evidente che la forma scritta è quella che meglio soddisfa l’esigenza che è alla base dell’obbligo.

I provvedimenti esternati in forma scritta hanno spesso una struttura formalizzata: intestazione, preambolo, dispositivo, motivazione, luogo, data, sottoscrizione, indicazione del termine e, indicazione delle autorità a cui è possibile ricorrere contro il provvedimento. Ma la struttura può essere diversa, per via del principio della libertà delle forme: è necessario soltanto che il testo contenga alcune indicazioni essenziali (come l’autorità emanante, l’oggetto e il contenuto) in assenza delle quali l’atto non è riconducibile a un provvedimento e, quindi, è, come tale, inesistente.

Se manca la sottoscrizione, il provvedimento è inesistente, mentre se essa è illeggibile il provvedimento è illegittimo, a meno che – in base a elementi come la dicitura dattiloscritta o il timbro apposto sull’atto – sia ugualmente possibile l’identificazione del funzionario che la ha apposta.

 

Le altre forme di esternazione

Casi di esternazione orale, può esserci nelle deliberazioni di organi collegiali (proclamazione del risultato della votazione da parte del presidente), per i quali vi è però anche un’ulteriore forma di esternazione, data dal verbale (il quale è condizione di esistenza della deliberazione).

La legge stabilisce che gli atti amministrativi sono di norma predisposti tramite sistemi informativi automatizzati e ammette anche la possibilità che la stessa emanazione del provvedimento, cioè la formazione del suo contenuto, avvenga mediante sistemi informatici o telematici: si parla di atto amministrativo informatico. In questo caso, la sottoscrizione è sostituita dall’indicazione a stampa del nome del responsabile.

La giurisprudenza applica per lo più le norme del codice civile relative all’interpretazione del contratto, come l’interpretazione secondo l’intenzione dell’autore, l’interpretazione complessiva, il principio di buona fede e quello di conservazione. Altre volte, essa applica regole ulteriori, come i principi di imparzialità e buon andamento, quelli del diritto comunitario e il ricorso ai provvedimenti precedenti e successivi a quello da interpretare, alla prassi amministrativa e al comportamento complessivo tenuto dall’amministrazione.

II comportamento concludente mostra la volontà dell’amministrazione, pur non essendo volto a manifestarla (per esempio, l’erogazione di una somma di denaro che mostri la concessione di un finanziamento; il rilascio di un diploma universitario che mostri il riconoscimento o la convalida di un esame).

Esso si distingue sia dal provvedimento implicito, risultante da un altro provvedimento o atto che lo presuppone (per esempio, l’esclusione di un’impresa da una gara che risulti dal verbale di ammissione che non la menzioni o il diniego di un permesso di costruire che risulti dalla comunicazione del parere negativo della commissione edilizia); sia dalla via di  fatto, cioè l’esecuzione di un provvedimento non emanato o non comunicato al destinatario (per esempio, la presa di possesso di un bene immobile di proprietà di un privato, da parte della forza pubblica, in esecuzione di un provvedimento di espropriazione ignoto all’espropriato). La distinzione tra queste figure non è facile, né particolarmente importante, dato che la giurisprudenza usa queste espressioni in modo promiscuo.

In base al principio di legalità e alla regola per cui il procedimento deve concludersi con un provvedimento espresso (art. 2, legge n. 241/1990), occorrerebbe escluderne l’ammissibilità, ma la giurisprudenza spesso le ammette per tutelare da provvedimenti non debitamente comunicati.

 

La motivazione

La legge n. 241/1990 ammette la c.d. motivazione per relationem: essa si ha quando la motivazione del provvedimento rinvia a un altro atto dell’amministrazione, dal quale risultano le ragioni della decisione: per esempio, il diniego di permesso di costruire può essere motivato rinviando al parere negativo della commissione edilizia. In questo caso, tuttavia, l’atto in questione deve essere indicato e reso disponibile, consentendovi l’accesso: ove ciò non avvenga, la giurisprudenza afferma, a volte, che non si realizza la piena conoscenza del provvedimento motivato per relationem (e, quindi, non decorre il termine per la sua impugnazione) e, altre volte, che esso è illegittimo, in quanto insufficientemente motivato.

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