Esaminati i poteri ed i limiti posti al sindacato del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione, è importante, a questo punto, determinare le azioni ammissibili contro la pubblica amministrazione; a tal fine, occorre richiamare la classificazione delle azioni della dottrina processualcivilistica e, in base ad essa, applicare le regole di cui agli artt. 4 e 5 della legge abolitiva.
La dottrina del processo civile (a partire dal Chiovenda) ha classificato le azioni in tre categorie fondamentali: le azioni dichiarative (o di mero accertamento), le azioni di condanna e le azioni costitutive.
Le azioni dichiarative sono quelle attraverso le quali l’ attore mira ad acquisire una certezza giuridica (messa in discussione dalla pretesa o dalla contestazione del convenuto); queste azioni sono sempre consentite contro la P.A., perché l’ accoglimento della domanda non modifica l’ assetto esistente [non incide, cioè, sull’ atto emesso dall’ autorità , ma si limita ad accertare una situazione giuridica o di fatto (ad es., il giudice accerta che una determinata area, che secondo l’ autorità fa parte del demanio, in realtà è di proprietà privata)].
Le azioni costitutive tendono, invece, ad ottenere dal giudice una sentenza che costituisca, modifichi o estingua un determinato rapporto giuridico, una volta effettuati determinati accertamenti; al riguardo è necessario sottolineare che la dottrina, argomentando dal divieto per il giudice ordinario di intervenire direttamente sull’ atto amministrativo (art. 4 della legge abolitiva), ritiene che sia impossibile proporre davanti al giudice ordinario qualsiasi domanda rivolta ad ottenere una sentenza costitutiva nei confronti della P.A., in quanto ciò comporterebbe la sostituzione della volontà del giudice a quella dell’ amministrazione.
Le azioni di condanna, infine, sono quelle in seguito alle quali il giudice, accertato l’ obbligo di una delle parti, ordina alla medesima una prestazione positiva, idonea a ristabilire l’ equilibrio giuridico violato [tale prestazione può consistere nel pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento ovvero in un determinato comportamento positivo (facere, non facere o dare)]. Ora, prendendo in considerazione i rapporti che intercorrono tra l’ azione di condanna e l’ atto amministrativo, è necessario sottolineare che il giudice non modifica o annulla l’ atto amministrativo, ma impone all’ amministrazione di modificarlo o annullarlo; sicché è l’ amministrazione che agisce, non il giudice. A ben vedere, però, il nuovo atto dell’ amministrazione è pur sempre imposto dal giudice (la decisione, cioè, è del giudice e non dell’ amministrazione): è per tal motivo, quindi, che la giurisprudenza si è orientata nel senso di ammettere le condanne pecuniarie e di escludere tutte le altre (a un facere, a un non facere o a un dare che abbia un oggetto diverso da una somma di denaro).