L’abolizione dei Tribunali ordinari del contenzioso amministrativo
Nel 1861, con l’Unità d’Italia, il Parlamento unificò la legislazione amministrativa, per dare maggiore tutela ai cittadini nei confronti della PA. Prima dell’Unità d’Italia (1861) la tutela dei cittadini era affidata al CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO (sul modello del sistema francese), non essendo ancora concepibile che l’amministrazione potesse essere portata davanti ad un giudice da un singolo cittadino. I tribunali del contenzioso amministrativo erano organi collegiali con natura amministrativa, con prerogative di minima indipendenza perché sotto la diretta direzione dell’esecutivo.
Tuttavia in Europa già la Costituzione Belga del 1831 aveva proposto un modello alternativo: le controversie con l’amministrazione erano devolute al giudice ordinario. Sulla base di un nuovo modello che prendeva il nome di costituzionalismo liberale, si chiedeva l’abolizione del contenzioso e l’affermazione di una giurisdizione unica.
Successivamente alla terza guerra di indipendenza contro l’Impero austro-ungarico, fu promulgata la L. 2248/1865 di UNIFICAZIONE AMMINISTRATIVA.
Allegato D: disciplinava il Consiglio di Stato
Allegato E: si occupava del contenzioso amministrativo:
Art.1: abolizione dei tribunali ordinari del contenzioso amministrativo
Art.2: tutte le cause per le contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si facesse questione di un diritto civile e politico, erano deferite al giudice ordinario
Nell’espressione “diritto civile e politico” erano ricompresi tutti i diritti soggetti vantati dai cittadini nei confronti della PA
I tratti essenziali della riforma del 1865
Art.4: il giudice non poteva annullare i provvedimenti amministrativi, ma eventualmente solo disapplicarli. Vi era inoltre l’obbligo per l’amministrazione di conformarsi alla decisione giurisdizionale (ma all’inizio non vi era comunque alcuna sanzione in caso di inosservanza).
Tuttavia tale riforma si riferiva solo a diritti soggettivi: fuori dall’ambito di applicazione della giurisdizione, erano rimaste dunque molto controversie.
Inoltre con l’abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo, tali controversie erano risolte solo con ricorsi amministrativi o con ricorso straordinario al re.
L’attuazione della riforma
Tale riforma si rivelò però insufficiente: il giudice orinario non era preparato a risolvere controversie amministrative, e per questo motivo il consiglio di Stato restrinse l’ambito giurisdizionale del giudice ordinario qualora la controversia riguardasse i poteri discrezionali della PA, circa i quali non vi erano diritti soggettivi ma solo interessi legittimi, ed era esclusa la competenza del giudice ordinario (interpretazione però errata!)
Il quadro teorico
La tutela dei cittadini era limitata al caso in cui la PA agiva in violazione di leggi civili e politiche, ma non amministrative. Si riteneva infatti che se la legge amministrativa aveva dato dei poteri alla PA, necessariamente era esclusa l’attribuzione dei medesimi diritti ai cittadini. Se questi non potevano vantare diritti, di conseguenza non potevano ottenere tutela giurisdizionale.
Il movimento per la “giustizia dell’amministrazione”
Si fece così largo la prospettiva di una riforma, soprattutto in seguito alla caduta del governo della destra, durato ininterrottamente dall’unità d’Italia.
L’allontanamento dal Governo portò ad una rinnovata attenzione al problema della tutela verso la pubblica amministrazione, tanto che nei programmi politici si determinò un movimento per la “giustizia dell’amministrazione”, che aveva il fine di porre un freno ai favoritismi e alle parzialità, tutelando maggiormente i cittadini davanti alla pubblica amministrazione.