I poteri pubblici si esplicano a mezzo di procedimenti; e ciò per varie ragioni. Innanzitutto, è necessario sottolineare che nei riguardi del potere amministrativo ricorrono particolari esigenze di tutela del privato: esigenze presenti sia quando il potere amministrativo è destinato a svolgersi mediante provvedimenti restrittivi (espropriazioni, occupazioni, sanzioni, etc.), nei confronti dei quali il privato ha interesse a limitare il danno o ad escluderlo del tutto, sia quando il potere dovrebbe sfociare in provvedimenti ampliativi (autorizzazione, concessione, sovvenzione, etc.), nei confronti dei quali il privato ha interesse ad ottenere il beneficio.
Ma vi è anche un’ altra ragione che consiglia di strutturare l’ azione amministrativa nella forma del procedimento: come sappiamo, il provvedimento richiede quasi sempre una comparazione di interessi (pubblici e privati) e, quindi, presuppone che, ove i singoli interessi pubblici siano affidati alle cure di uffici diversi, questi ultimi siano posti nella condizione di far sentire la loro voce prima che la decisione venga presa.
Detto ciò, occorre adesso identificare la forma che deve assumere il procedimento. Al riguardo, è la nostra Costituzione a proporci un’ interessante lettura: si ritiene, infatti, che l’ art. 97 Cost., qualificando l’ amministrazione come apparato imparziale, suggerisca un’ assonanza tra i criteri che ispirano l’ azione amministrativa e i criteri che presiedono all’ amministrazione della giustizia; in altri termini, si vuol dire che se il giudice, terzo ed imparziale, esercita il suo potere attraverso il giusto processo (art. 111 Cost.), anche l’ amministrazione, per essere imparziale, deve agire nella forma del procedimento, ossia attraverso una sequenza di atti che evoca, in qualche modo, la sequenza degli atti del processo.
Sino al 1990 non c’è stata in Italia una legge generale sul procedimento amministrativo (c’erano soltanto leggi su singoli procedimenti, quali, ad es., il procedimento di espropriazione per pubblica utilità del 1865; il procedimento di pianificazione urbanistica del 1942; il procedimento per l’ individuazione delle cd. bellezze d’ insieme del 1939, etc.).
Da tali leggi di settore la dottrina e la giurisprudenza (costituzionale e amministrativa) hanno ricavato dei princìpi comuni, quali, ad es.: l’ obbligo di contestazione degli addebiti nei procedimenti disciplinari e sanzionatori; l’ obbligo di motivazione dei provvedimenti restrittivi della sfera giuridica del destinatario; il principio della necessaria precedenza del parere rispetto al provvedimento di amministrazione attiva, etc.).
Con la L. 241/90 sono state, poi, fatte due operazioni: da un lato, sono stati generalizzati alcuni princìpi elaborati dalla giurisprudenza; dall’ altro, il legislatore si è fatto carico di alcuni problemi insorti con la stessa evoluzione del diritto amministrativo. È necessario sottolineare, infatti, che la legislazione amministrativa, a partire dall’ inizio del XX secolo, è stata caratterizzata da una crescita costante del numero degli interessi pubblici (dovuta al riconoscimento normativo di interessi collettivi); e a tale crescita ha corrisposto l’ istituzione di un centro di interessi amministrativi. Il coordinamento tra questi interessi pubblici con gli interessi collettivi e privati sono stati affidati al procedimento, il quale, in tal modo, è diventato il luogo nel quale tutti questi interessi fanno oggi sentire la loro voce.