Il termine
In virtù del principio costituzionale del buon andamento dell’ amministrazione, una volta esaurita l’ istruttoria, l’ amministrazione ha l’ obbligo di provvedere con un provvedimento espresso, entro un termine prestabilito. Analizziamo le implicazioni di questo enunciato.
Innanzitutto, va detto che l’ obbligo di provvedere sussiste ogni qual volta l’ amministrazione ha l’ obbligo di procedere; non sempre, però, l’ obbligo di procedere (e, quindi, di provvedere) sussiste: sussiste, ad es., quando è il privato a chiedere il rilascio di un provvedimento tipico (un’ autorizzazione, una concessione, una dispensa, etc.); non sussiste, invece, quando il privato chiede, ad es., l’ annullamento di un provvedimento.
Il procedimento, come detto, deve concludersi entro un termine prestabilito (e in ciò il procedimento amministrativo si distingue dal processo, nel quale manca, invece, un termine prestabilito per la sua conclusione).
In particolare, per ciascun procedimento gestito dalle amministrazioni statali il termine è stabilito da un regolamento governativo; per quel che riguarda, invece, gli enti pubblici nazionali, ciascuno di essi adotta regolamenti o atti amministrativi generali, in conformità ai rispettivi ordinamenti; per quanto riguarda, infine, le regioni e gli enti locali, questi regolano la materia (anche quella dei termini) nel rispetto delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’ azione amministrativa.
Qualora, però, l’ amministrazione procedente abbia omesso di provvedere a fissare il termine, il procedimento deve concludersi entro 90 gg. dal suo avvio.
Il procedimento deve essere concluso con un provvedimento espresso: ciò significa, da un lato, che l’ amministrazione non può trincerarsi dietro il silenzio e, dall’ altro lato, che il provvedimento amministrativo (dal momento che deve essere motivato) deve avere una forma scritta.
Il decorso infruttuoso del termine
Anche se è obbligata a provvedere, non sempre l’ amministrazione porta a termine il procedimento nel modo prescritto: spesso, infatti, il termine scade senza che nessun provvedimento venga adottato. Allo scopo di evitare ciò, la giurisprudenza e la legislazione hanno introdotto determinate misure volte a contrastare l’ inerzia dell’ amministrazione; tali misure possono essere così classificate:
• quando l’ atto omesso è fortemente restrittivo della sfera giuridica del privato (ad es., un’ espropriazione o una sanzione disciplinare), la legge fa discendere, dal decorso infruttuoso del termine per la conclusione del procedimento, l’ esaurimento del potere dell’ amministrazione di provvedere (ad es., il decreto di esproprio emesso dopo la scadenza del termine stabilito nella dichiarazione di pubblica utilità è nullo);
• nei procedimenti ad istanza di parte il silenzio dell’ amministrazione (protratto oltre il termine stabilito per la conclusione del procedimento) equivale, invece, ad accoglimento della domanda; tale regola, però, conosce molte eccezioni: il silenzio-assenso, ad es., non si applica agli atti e ai procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e la salute pubblica.
È bene precisare, comunque, che anche se è decorso il termine (e, quindi, si è formato il silenzio-assenso) l’ amministrazione competente, in funzione di autotutela, può annullare o revocare l’ atto di assenso tacito, negando, con ritardo, quel provvedimento che il privato aveva ottenuto;
• nei procedimenti ad istanza del privato, in cui l’ amministrazione rimane inerte oltre il termine per la conclusione del procedimento e in cui non trova applicazione l’ istituto del silenzio-assenso, opera il principio civilistico, in base al quale chi tace non dice né si né no: in tal caso, il silenzio dell’ amministrazione viene equiparato ad un provvedimento di rifiuto (o di diniego), avverso il quale l’ interessato, entro 1 anno, può proporre impugnazione dinanzi al giudice amministrativo.