L’ ente è una persona giuridica formata al suo interno da più organi (si pensi, ad es., all’ ente-comune, che comprende i seguenti organi: il consiglio comunale, la giunta, il sindaco e i dirigenti); gli organi, a loro volta, sono gli strumenti (dal greco: organon) della capacità di agire dell’ ente. Ciò significa, quindi, che l’ ente (persona giuridica) può agire solo attraverso i suoi organi, i quali non hanno soggettività distinta da quella dell’ ente, ma attuano la sua stessa capacità di agire. In altri termini, nel rapporto organico non ci sono due soggetti giuridici: l’ organo è la persona giuridica, sicché non solo gli effetti degli atti che l’ organo compie, ma anche gli atti stessi vengono imputati alla persona giuridica (in particolare, questa immedesimazione organica trova conferma nel processo: se, ad es., ritengo di essere stato leso da un atto del consiglio comunale che mi ha negato l’ autorizzazione a lottizzare un terreno, dovrò ricorrere contro il comune e non contro il consiglio comunale, appunto perché l’ atto del consiglio è un atto del comune).
a) gli organi collegiali
L’ organo, di solito, è coperto da una sola persona: il sindaco, il prefetto, il ministro, etc.; in molti casi, però, la legge prevede che all’ organo siano assegnate più persone: si pensi, ad es., ad un consiglio comunale o ad una giunta regionale (in questi, come in altri casi l’ organo è un collegio o, più precisamente, un organo collegiale).
Sono collegiali, di solito, gli organi di consulenza (si pensi, ad es., al Consiglio di Stato), sul presupposto che il consigliare è dei molti e il decidere dei pochi; sono collegiali, inoltre, gli organi di base degli enti politici (collegiali in virtù della loro rappresentatività: si pensi, ad es., al Parlamento, al consiglio regionale o a quello comunale); sono collegiali, infine, gli organi chiamati ad esprimere un giudizio (si pensi, ad es., alle commissioni mediche: in questi casi, la collegialità si giustifica in virtù del fatto che il giudizio del singolo può essere opinabile).
L’ organo collegiale (a differenza di quello individuale, che è sempre presente) ha una vita intermittente: esso, infatti, diventa operativo solo a seguito di una convocazione della seduta (giorno, ora, luogo) da parte del presidente del collegio, il quale deve anche fissare l’ ordine del giorno e presiedere l’ adunanza, con il relativo ordine dei lavori.
Perché la seduta sia valida ed il collegio sia legittimato a deliberare non è, tuttavia, necessario che siano presenti tutti i suoi componenti: è sufficiente, infatti, il numero legale (cd. quorum strutturale), vale a dire, la metà più uno dei membri assegnati al collegio (così, ad es., in un consiglio comunale di 40 consiglieri, il numero legale sussiste quando sono presenti almeno 21 di essi); il principio del numero legale non opera, però, nei cd. collegi perfetti, come quelli giudicanti, nei quali è richiesta la presenza di tutti i membri (si pensi, ad es., ai tribunali civili, penali e amministrativi).
È bene precisare, comunque, che il problema fondamentale del collegio è quello di estrapolare da una pluralità di persone con opinioni diverse una determinazione unitaria; per superare quest’ ostacolo è stato escogitato il procedimento della votazione (fondato sul principio di maggioranza).
Il meccanismo è il seguente: il presidente del collegio formula un progetto di delibera (cd. proposta) sulla quale si andrà a votare, a favore o contro; la proposta sarà approvata e diventerà delibera del collegio se avrà conseguito la maggioranza dei voti dei presenti, vale a dire il voto favorevole della metà più uno dei membri del collegio presenti (cd. quorum funzionale). Più precisamente, dopo che sia stata accertata l’ esistenza del quorum strutturale (necessario per la validità della seduta), il quorum funzionale (necessario per l’ approvazione della proposta) sarà pari alla metà dei membri presenti più uno: così, ad es., se un consiglio comunale è composto da 40 persone, il quorum strutturale sarà di 21 membri, mentre quello funzionale dipenderà dal numero dei componenti presenti (se, ad es., alla seduta sono presenti 30 componenti, il quorum funzionale sarà di 16 voti: la metà più uno dei presenti).
Ovviamente, ad ogni componente del collegio è riconosciuta la facoltà di emendamento: la facoltà, cioè, di proporre una modifica della proposta, per effetto della quale membri del collegio, in partenza contrari, possono diventare favorevoli alla proposta stessa.
Dalla proposta al voto si passa attraverso la discussione: con essa i membri del collegio espongono le ragioni per cui sono favorevoli o contrari alla proposta. Qualora, al termine della discussione, alcuni membri dovessero continuare a rimanere perplessi potranno, in ogni caso, astenersi dal voto (occorre specificare, però, che l’ astensione va a sommarsi ai voti contrari; sono, tuttavia, previste specifiche deroghe: si pensi, ad es., al regolamento del Senato della Repubblica, ove gli astenuti non vengono computati tra i votanti e non influiscono, quindi, sulla votazione).