Il Silenzio è il comportamento inerte dell’amministrazione, in ordine all’emanazione di un provvedimento o di un atto strumentale: in ogni caso, il risultato è la mancata emanazione del provvedimento e, quindi, la violazione dell’obbligo di provvedervi.
Le norme e la giurisprudenza si preoccupano in vari modi di rimediare a questo inadempimento: con misure di tipo sostanziale (come il silenzio-assenso) o processuale (come il ricorso contro il silenzio-rifiuto), oltre che con altre meno rilevanti. Per procedimenti a iniziativa d’ufficio, che si concludono con provvedimenti sfavorevoli per il destinatario, il problema di tutela dell’interessato è ovviamente minore, anche perché, in molti casi, i provvedimenti in questione non possono più essere emanati dopo il decorso di un certo termine. Il problema si pone, quindi, essenzialmente per i procedimenti a iniziativa di parte, nei quali il silenzio prolunga una situazione di mancato soddisfacimento dell’interesse del privato.
Per i procedimenti autorizzateci la soluzione più soddisfacente per il richiedente è quella di ricollegare al decorso del termine la produzione degli effetti del provvedimento richiesto: è il Silenzio-Assenso. È un meccanismo utilizzato anche per alcuni procedimenti di controllo, ma non applicabile ad altri procedimenti a iniziativa di parte, come la concessione di un finanziamento o di una borsa di studio, il cui risultato non si ottiene con la semplice produzione degli effetti giuridici del provvedimento, essendo necessari atti esecutivi (come il versamento del denaro).
Più naturale, anche se meno favorevole all’interessato, è la soluzione inversa, quella di desumere dal silenzio la volontà dell’amministrazione di non emanare il provvedimento (positivo) richiesto, equiparandolo al provvedimento negativo. Il Silenzio-Rifiuto, infatti, è la soluzione più frequente.
A volte le norme equiparano esplicitamente il silenzio al provvedimento negativo, stabilendo per esempio che il mancato rilascio di un’autorizzazione entro un certo termine deve intendersi come diniego di autorizzazione o che il mancato accoglimento di un ricorso equivale al suo rigetto: si parla, appunto, nel primo caso di Silenzio-Diniego, nel secondo di Silenzio-Rigetto, in entrambi di silenzio significativo negativo (contrapposto al silenzio significativo positivo, che è il silenzio-assenso). L’equiparazione è comunque utile per l’interessato, che contro il silenzio potrà rivolgersi al giudice amministrativo.
In assenza di norme esplicite, il Silenzio dell’amministrazione a fronte di una domanda del privato costituisce inadempimento (si parla, appunto, di Silenzio-Inadempimento), contro il quale la tutela giurisdizionale è prevista in via generale dall’art. 21-bis, legge n. 1034/1971, che disciplina il ricorso contro il silenzio. Si pone, però, il problema del momento a partire dal quale il silenzio costituisce un inadempimento e ci si può rivolgere al giudice: problema che questa norma non risolve. La soluzione più naturale è che tale momento coincida con la scadenza del termine del procedimento di cui all’art. 2, legge n.
241/1990.
La giurisprudenza, però, su questo punto è incerta: tende a richiedere all’interessato ulteriori adempimenti (una diffida all’amministrazione e il decorso di un ulteriore termine), perpetuando una procedura da essa stessa elaborata prima del 1990 e basata sull’art. 25, decreto del dPR n. 3/1957.
Il citato art. 21-bis detta un rito abbreviato e semplificato per il ricorso contro il silenzio dell’amministrazione e stabilisce che, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice ”ordina all’amministrazione di provvedere”. La giurisprudenza interpreta questa norma in modo alquanto restrittivo, ritenendo che il giudice debba limitarsi a dichiarare l’obbligo di provvedere, senza pronunciarsi sul contenuto del provvedimento da emanare e, quindi, sulla fondatezza della domanda del privato.