Tuttavia – in questo ordinamento come nella maggior parte degli altri – esse non disciplinano compiutamente lo svolgimento del procedimento, ma pongono solo alcune regole comuni o prevedono istituti di applicazione eventuale. Il procedimento amministrativo è innanzi tutto un modo di esercizio del potere amministrativo.
Mediante il procedimento legislativo si esercita un potere libero dato che il legislatore, entro limiti imposti dai principi costituzionali e dal diritto europeo, è libero di individuare i fini da perseguire. Al contrario il potere esercitato dal giudice nel processo è tendenzialmente vincolato all’unico fine dell’attuazione della legge.
Il procedimento amministrativo è una via di mezzo perché le pubbliche amministrazioni devono rispettare la legge e perseguire i fini da essa stabiliti, ma devono colmare i vuoti lasciati dalle norme e definire in concreto l’assetto di interessi (per esempio, precisando i criteri di assegnazione degli alloggi, valutando la situazione economica degli aspiranti, decidendo se sgomberare con la forza gli alloggi abusivamente occupati).
Per un verso, le amministrazioni devono essere imparziali, non molto diversamente dai giudici; per un altro verso, esse non sono indifferenti rispetto agli interessi in gioco, anzi sono esse stesse portatrici di interessi pubblici. Ciò significa che il procedimento amministrativo è uno strumento di esercizio di un particolare tipo di potere, che è il potere amministrativo: esso si distingue dal potere privato, che è libero nel fine e non richiede un procedimento; dal potere legislativo, che è libero nel fine; dal potere giurisdizionale, che non implica un apprezzamento di interessi.
Come ogni situazione soggettiva di potere, il potere amministrativo implica un ruolo di mediazione, affidato al suo titolare, tra la norma e l’effetto giuridico. La norma non produce immediatamente l’effetto, ma ne affida la produzione al titolare del potere, in questo caso la pubblica amministrazione: spetta ad autorità amministrative, per esempio, stabilire il limite di velocità in determinate strade (mentre il limite in autostrada è fissato dalla legge), autorizzare l’apertura di grandi supermercati (mentre l’apertura di piccoli negozi è consentita dalla legge), ecc.
Norme giuridiche e poteri amministrativi
I poteri amministrativi devono sempre avere un fondamento normativo, quindi le amministrazioni possono emanare provvedimenti solo nei casi previsti dalle norme. È il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, che si fonda su quello di legalità. Esso viene spesso enfatizzato dalla scienza giuridica ed è affermato dalla giurisprudenza nelle (non molto frequenti) ipotesi in cui le amministrazioni esercitano poteri non attribuiti da alcuna norma.
A monte di un potere amministrativo, dunque, vi è sempre una norma, che lo attribuisce all’amministrazione; a valle, vi è l’effetto che la norma mira a ottenere attraverso l’esercizio del potere. L’art. 23 cost., secondo cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, implica che i provvedimenti restrittivi, come quelli ablatori e quelli sanzionatori, possono essere emanati solo nei casi previsti da atti aventi forza di legge.
La fonte legislativa, in questi casi, deve non solo contemplare l’emanazione del provvedimento, ma anche indicarne i presupposti e il contenuto. Questo principio, peraltro, soffre qualche eccezione o limitazione, come nel caso delle ordinanze d’urgenza.
Caratteri del potere amministrativo
Le pubbliche amministrazioni, per produrre l’effetto previsto dalle norme, non hanno bisogno di rivolgersi a un giudice. Ciò è legato alla disciplina dell’invalidità del provvedimento amministrativo e alla struttura del processo amministrativo: il provvedimento invalido è di regola annullabile (e non nullo), cioè produce provvisoriamente i suoi effetti; e il processo amministrativo inizia di regola con un ricorso del privato, che impugna il provvedimento per ottenerne l’annullamento (a doversi rivolgere al giudice, quindi, è il privato per ottenere la rimozione degli effetti del provvedimento, non l’amministrazione per ottenere la loro produzione).
L’esercizio del potere amministrativo, dunque, determina l’immediata produzione dell’effetto giuridico. I caratteri che distinguono il potere amministrativo dagli altri tipi di poteri dipendono dal suo inserirsi nello svolgimento di una funzione: esso è un potere a esercizio doveroso; si esercita attraverso un procedimento; deve essere esercitato entro un certo termine, che è il termine entro il quale il procedimento deve concludersi; è disciplinato da numerose regole, generali e speciali; è soggetto a controlli penetranti, affidati a organi sia amministrativi sia giurisdizionali.
Potere amministrativo e interessi protetti
Le norme e la giurisprudenza sembrano spesso mosse da una certa diffidenza nei confronti dei poteri amministrativi: a volte li escludono (per esempio, le riunioni e le associazioni tra cittadini non possono essere sottoposte ad autorizzazione: art. 17 e 18 cost.); nell’attribuirli, individuano con precisione i presupposti (per esempio, all’espropriazione per pubblica utilità si può procedere solo nei casi previsti dalla legge: art. 42 cost.) e il contenuto (per esempio, l’ammontare delle sanzioni pecuniarie) dei relativi provvedimenti; disciplinano il procedimento con norme sia di applicazione generale, sia relative a singoli tipi di procedimento; impongono regole relative alla formazione della decisione, come quella della coerenza tra motivazione e dispositivo e quella della non disparità di trattamento; prevedono controlli amministrativi e giurisdizionali.
Più che di diffidenza nei confronti delle amministrazioni, comunque, si tratta della conseguenza, da un lato, della natura funzionale dell’attività amministrativa, dall’altro, della garanzia dei diritti dei cittadini: prevenire il rischio di abusi significa assicurare che l’interesse pubblico sia correttamente perseguito e che tutti gli interessi rilevanti siano adeguatamente valutati. Ciò spiega perché regole e controlli possano essere invocati dai titolari di questi interessi, partecipando al procedimento amministrativo e impugnando il provvedimento dinanzi al giudice.
Nei confronti di un potere amministrativo, i titolari degli interessi coinvolti si trovano in una situazione più favorevole che nei confronti di un potere privato: chi voglia ottenere un’autorizzazione amministrativa è più tutelato di chi voglia ottenere un’autorizzazione dal proprio vicino di casa, perché può partecipare al procedimento di formazione della decisione dell’amministrazione e invocare il rispetto delle regole che disciplinano questo procedimento (mentre il modo in cui il vicino prende le proprie decisioni è ovviamente insindacabile); analogamente, il proprietario del bene è più tutelato in sede di espropriazione per pubblica utilità che nei confronti del creditore espropriante.
Le pubbliche amministrazioni non si trovano in una posizione di supremazia nei confronti dei cittadini, né i loro provvedimenti hanno alcuna particolare forza giuridica. Tutto ciò che si può dire è che esse sono titolari di numerosi poteri amministrativi, dei quali i privati non possono essere titolari: ma il regime giuridico di questi poteri è volto a limitare le scelte delle amministrazioni e a tutelare i diritti dei cittadini.
I titolari degli interessi su cui il potere amministrativo incide, destinatari degli effetti dei relativi provvedimenti, non si trovano in una situazione di mera soggezione né di diritto soggettivo, ma in una situazione di interesse legittimo: situazione giuridica soggettiva che, a differenza della soggezione, consente al suo titolare di incidere sull’esercizio del potere, che si trova di fronte.
Questa nozione, che ha avuto una notevole importanza per la formazione del sistema italiano di giustizia amministrativa (essendo utilizzata per operare il riparto della giurisdizione), indica appunto una tecnica di tutela degli interessi coinvolti dalle decisioni dell’amministrazione.