Come abbiamo visto, la sentenza del giudice amministrativo non chiude la partita tra le parti del giudizio, ma pone le premesse per un’ ulteriore attività della pubblica amministrazione (attività che si muove tra i due estremi del puntuale adempimento del precetto contenuto in sentenza e del rinnovato esercizio del potere amministrativo).
In linea di principio possono verificarsi tre situazioni:
• in alcuni casi la sentenza è autoesecutiva: non richiede, cioè, alcuna attività di esecuzione da parte dell’ amministrazione (se, ad es., è stato revocato un permesso di costruire, l’ annullamento del provvedimento da parte del giudice amministrativo restituisce efficacia al permesso, che il privato può, in tal modo, continuare ad utilizzare);
• in altri casi l’ amministrazione, pur essendo tenuta ad agire, rimane assolutamente inerte (così, ad es., annullato un diniego di autorizzazione, l’ autorità è tenuta a riesaminare la domanda; se non lo fa, il privato può rivolgersi al giudice dell’ ottemperanza);
• la terza ipotesi è quella più complessa. L’ autorità provvede (ad es., reiterando il diniego di autorizzazione). A questo punto occorre stabilire se l’ amministrazione abbia esercitato il potere amministrativo che viene fatto salvo dalla sentenza, ex art. 45 r.d. 1054/24 (nel qual caso il nuovo atto dovrà essere allora impugnato nell’ ambito di un nuovo processo di cognizione) ovvero se abbia violato o eluso il giudicato (e in tal caso la questione dovrà essere sottoposta al giudice dell’ ottemperanza): riproponendo l’ esempio di prima, si dovrà allora affermare che, qualora l’ atto riproduca con qualche variante marginale il precedente diniego, lo stesso dovrà essere considerato elusivo del giudicato.
A questo punto, però, è necessario interrogarsi sul tipo di invalidità che inficia l’ atto posto in essere in violazione o elusione del giudicato: a tale quesito ha dato una risposta ben precisa la L. 15/05, la quale, infatti, ha qualificato come atto nullo il provvedimento adottato in violazione o elusione del giudicato (nullo perché ritenuto lesivo del diritto soggettivo del ricorrente risultato vincitore all’ esecuzione del giudicato); pertanto, trattandosi della lesione di un diritto soggettivo, la relativa controversia è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
In questa prospettiva, l’ art. 112 c.p.a. individua le decisioni per le quali è possibile chiedere l’ esecuzione in sede giurisdizionale, così circoscrivendo l’ ambito di applicazione del giudizio di ottemperanza; in particolare, ad avviso del legislatore, tale giudizio è finalizzato all’ attuazione:
• delle sentenze passate in giudicato del giudice amministrativo e del giudice ordinario;
• delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;
• dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili.
L’ art. 112 c.p.a. contiene anche altre disposizioni finalizzate a delineare il giudizio di ottemperanza; più precisamente, in tale sede il ricorrente:
• può esperire azione di condanna per il pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza;
• può esperire azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato;
• può proporre la connessa domanda di risarcimento del danno derivante dalla illegittimità del provvedimento impugnato (nel termine di 120 gg. dal passaggio in giudicato della relativa sentenza);
• può proporre domanda al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità con cui si deve procedere all’ esecuzione di una delle suddette pronunce (cd. ottemperanza di chiarimento).
Ad eccezione della domanda di risarcimento del danno (in cui l’ azione si prescrive, come visto, nel termine di 120 gg.), nelle altre ipotesi l’ azione si prescrive dopo 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza: è bene precisare, al riguardo, che opera il termine di prescrizione (e non quello di decadenza) perché il ricorrente fa valere, in tal caso, un diritto soggettivo nell’ ambito di una giurisdizione esclusiva e di merito.
Giudice dell’ ottemperanza è il Tar che ha emesso la sentenza di cui si chiede l’ esecuzione (e ciò anche qualora la stessa sia stata impugnata davanti al Consiglio di Stato e quest’ ultimo l’ abbia confermata in toto).
Viceversa, se la sentenza è stata riformata in appello, in senso favorevole al privato (ovvero sia stata confermata, ma con diversa motivazione), la competenza è del Consiglio di Stato.
Se, infine, la sentenza di cui si chiede l’ ottemperanza è del giudice ordinario competente sarà, invece, il Tar nella cui circoscrizione ha sede quel giudice (stesso discorso quando l’ ottemperanza riguarda un lodo arbitrale).
Con la sentenza che accoglie il ricorso il giudice ai sensi dell’ art. 114 c.p.a.:
• ordina l’ ottemperanza, prescrivendo le relative modalità;
• dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;
• nomina, ove occorra, un commissario ad acta;
• determina, su richiesta del ricorrente, la somma di denaro dovuta dall’ amministrazione per il ritardo nell’ esecuzione del giudicato.
Un accenno è necessario dedicarlo, in particolare, al commissario ad acta (figura inventata dalla giurisprudenza amministrativa, poi codificata); si tratta di un soggetto terzo, che viene nominato dal giudice nel caso in cui l’ amministrazione non ottemperi. Il commissario, in ogni caso, non è un organo dell’ amministrazione che non ha ottemperato, ma è un ausiliare del giudice (al quale, tra l’ altro, è tenuto a rispondere).
Occorre precisare, infine, che se la sentenza che conclude il giudizio di ottemperanza è emessa dal Tar, la stessa sarà impugnabile dinanzi al Consiglio di Stato.