E’ molto difficile definire un ente pubblico: alcune volte sono state proposte tesi più stataliste del perseguimento di fini dello stato, o del rapporto di sevizio, ovvero del rapporto di sevizio, o che identificano la natura pubblica nella deroga al diritto comune, ecc. la difficoltà sta nel fatto che la sfera “pubblica” non è più definibile come concetto omogeneo. Tuttavia per Rossi è individuabile un “nucleo” del carattere pubblico, che funga da soglia razionale/positiva, ossia il “minimo comune denominatore” alle diverse qualificazioni di ogni soglia pubblicistica: è allora pubblico l’ente la cui essenza è considerata necessaria dall’ente territoriale, che vi intrattiene quindi rapporti connessi a tale valutazione. Il carattere necessario dell’ente pubblico ne spiega i caratteri essenziali: impossibilità di auto scioglimento e decisione autonoma di privatizzazione, impossibilità di sottrarre i beni alla loro destinazione e di sottoporre gli enti pubblici che fanno attività commerciale al fallimento, responsabilità politica in ordine alla loro esistenza. La nozione di ente pubblico ha carattere giuridico in quanto una serie di effetti vi sono connessi: l’analisi positiva dimostra che varie leggi si riferiscono agli enti pubblici dettando specifiche discipline spiegabili con il carattere necessario del perseguimento dell’interesse e all’impossibilità di disporre della propria esistenza. Rilevano: norme del c.c. che stabiliscono che i beni degli enti pubblici non territoriali se destinati a un pubblico servizio, fanno parte del patrimonio indisponibile, non potendo esser sottratti alla loro destinazione, il 2221 del c.c. che sottrae gli enti pubblici che fanno attività commerciale dalle procedure di fallimento ecc. Vi sono poi alcune norme che contribuiscono a formare uno status pubblicistico di un certo spessore, come quelle che definiscono a carico degli enti pubblici particolari oneri di collaborazione con amministrazioni pubbliche o autorità indipendenti, ovvero quelle dettanti una normativa specifica per gli enti pubblici per prevenire la criminalità di tipo mafioso. La posizione di questi enti pubblici è sì di privilegio ma anche di sfavore rispetto ai soggetti di diritto comune. Esiste allora un regime specifico per gli enti pubblici, che li differenzia da quelli privati. La dottrina tende ad estendere l’applicazione del principio di uguaglianza alle persone giuridiche, comprese quelle pubbliche, anche in base agli ordinamenti della Corte Costituzionale che non appaiono però fin qui consolidati. Emerge allora un orientamento di Corte Costituzione volto ad ammettere ma anche oggettivizzare le deroghe al diritto comune connesse alla natura pubblica degli enti.
Con riguardo alla classificazione degli enti pubblici va detto che essi possono esser classificati secondo gli strumenti (di diritto pubblico o privato), che usano nella propria attività, la struttura organizzativa e il rapporto con i gruppi interessati. Ovviamente ogni ente (a seconda del profilo che si considera) fa parte di un diverso tipo di classificazione. Criterio “in relazione all’attività”.Sotto il profilo degli strumenti usati dagli enti nella loro attività, si differenziano gli enti di amministrazione (a cui si applicano le connotazioni pubblicistiche tipiche delle P.A.) dagli enti economici (che usano il diritto privato). Nella nozione di ente pubblico economico coesistono profili pubblicistici (che attengono al rapporto con l’ente territoriale) e privatistici (concernenti i rapporti con i dipendenti e con i terzi). La nozione è sempre rimasta con confini non ben definiti: per opinione unanime di dottrina e giurisprudenza, vi rientrano gli enti che svolgono attività di produzione di beni in regime di concorrenza, ma la natura privatistica del rapporto di lavoro è stata estesa in vari casi in enti operanti in regime di monopolio, che in qualche caso adottano provvedimenti amministrativi. Dopo le privatizzazioni, la formula dell’ente economico agente nell’economia con funzioni di gestione diretta o con società controllate è divenuta marginale. La legge continua a usare la nozione limitatamente ad alcuni ambiti: come configurazione “di passaggio” da quella pubblicistica dell’azienda autonoma a quella privatistica delle spa; la formula trova ora una nuova utilizzazione relativamente alla crescente tendenza all’uso degli strumenti privatistici (in modo coerente per enti di servizi come ad esempio le ASL, incoerentemente per altri enti di pubbliche funzioni: ad esempio la SIAE). In via di principio è atto di dir privato un atto adottato da un ente economico (l’ASL è azienda con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, che agisce con atti di diritto privato). Criterio “in relazione al rapporto con gli interessati”. In questo caso si isola il gruppo degli enti pubblico-collettivi che viene contrapposto agli enti pubblici traenti origine da un’autonoma valutazione dell’ente territoriale: ad esempio il CONI. Attribuire all’ente pubblico la qualifica di “collettivo”, vuol dire accostare ad esso l’esponenzialità di interessi imputabili ad una organizzazione rappresentativa. L’ attribuzione del carattere pubblico all’ente operata dalla norma modifica sotto vari aspetti il fenomeno, ma non si spinge fino al punto di assorbirlo integralmente. L’esistenza di un substrato sostanziale fa sì che lo stato non può disporre della sua esistenza, mentre può revocare ciò che la norma ha aggiunto al fenomeno sostanziale, quindi restituire a questi organismi la natura giuridica privata, eliminando privilegi e oneri con la stessa incompatibili. L’analisi degli effetti provocati dalla norma sulle figure in oggetto è complessa perchè non sempre è facile individuare ciò che deriva dalla norma e ciò che invece è connesso al fenomeno sostanziale. Una prima evenienza è quella dell’attribuzione all’organizzazione rappresentativa di poteri che altrimenti non avrebbe (ad esempio: tenere albi) ovvero il conferimento di una diversa efficacia ai poteri dell’organizzazione stessa. Accanto a queste forme di incidenza sui fenomeni associativi da parte della norma, ci sono misure che restringono l’autonomia degli enti in quanto attribuiscono poteri sugli stessi ad organi dell’amministrazione statale (ad esempio così è per i poteri di vigilanza, che varino e vanno dall’approvazione dei bilanci, alla previsione del potere di scioglimento degli organi ecc.). Un tratto comune a queste organizzazioni è che dopo l’intervento dello Stato hanno perso in parte o completamente la libertà di organizzazione. Un tratto comune a queste organizzazioni è che dopo l’intervento statale, perdono in parte o in tutto la libertà di organizzazione (ad esempio quando gli statuti sono disciplinati con legge). Tutti questi tipi sono accomunati dall’idea che portano ad una tutela rafforzata degli interessi del gruppo. Criterio di classificazione degli enti pubblici in relazione alla struttura organizzativa: una tipicizzazione in questo senso si può fare sia in relazione al modo con cui viene realizzata la presenza degli interessati negli organi (in questo caso parleremo di enti associativi, rappresentativi, istituzionali o a struttura di spa) ovvero in relazione alla struttura semplice o composta dell’ente(parleremo di enti a struttura federativa o confederative e quelli consortili). Gli enti associativi sono caratterizzati dal fatto che i soggetti facenti parte del gruppo degli interessati determinano direttamente o con delegati ad hoc una serie di decisioni riguardanti l’attività dell’ente (sono enti esponenziali di gruppi sociali). Gli enti a struttura rappresentativa sono quelli in cui i soggetti interessati determinano la nomina della maggioranza dei membri degli organi deliberativi, con le proprie organizzazioni. Gli enti a struttura istituzionale sono quelli in cui gli amministratori sono nominati da soggetti esterni agli enti. Questa formula è usata comunemente per gli enti diretta emanazione di un ente territoriale, specie quando l’ente non ha una collettività determinata e stabile dei destinatari. Gli enti con modello di spa: il loro modello è quello civilistico della spa modificato in alcuni casi dalle norme specifiche, ma il centro è l’organo assembleare. A struttura composta: federazioni, confederazioni (questi 2 curano il proprio interesse di coordinamento degli enti federati. Possono esser distinti in 3 tipi: orizzontali, che federano enti affinino ognuno di cui non ha delimitazione territoriale, verticali, che federano enti organizzati a carattere locale, miste, ad esempio l’ACI) e consorzi (quest’ultimo cura gli interessi dei consorziati che rimangono titolari dei loro interessi)