La disciplina normativa può attribuire all’amministrazione un ambito di scelta più o meno ampio a seconda dei casi. Per discrezionalità amministrativa, si intende quell’ambito di scelta nel quale l’amministrazione si muove scegliendo tra più soluzioni possibili per la cura di un determinato interesse quella che risulti essere + conforme alle esigenze stesse. All’autorità amministrativa spetta una discrezionalità che potremmo definire relativa e diversificata a seconda dei casi, ma che comunque non può ricondursi allo schema comune dell’autonomia, come capacità di libera determinazione dei propri fini, dal momento che l’esercizio del potere amministrativo è vincolato nel fine.
Il concetto di discrezionalità è nell’ambito amministrativo, molto ambigua, perché potremmo intendere proprio il significato contrario, e cioè di piena libertà. La nozione elaborata dal consiglio di stato attribuisce alle amministrazioni la possibilità di valutare secondo le regole di buona amministrazione le esigenze del pubblico interesse. Il problema relativo a tale concetto, è quello di evitare l’arbitrio nelle scelte delle p.a. sempre possibile, pur nei limiti della legalità. Il concetto fondamentale a cui bisogno ispirarsi è quello della funzionalizzazione del potere amministrativo : il potere amministrativo, cioè, pur negli spazi lasciati aperti dalla legge, non è libero, ma vincolato nei fini.
E il fine è l’interesse pubblico fissato dalla legge. Quando parliamo, però di vincolo del fine, ci riferiamo ad un agire non interamente vincolato e quindi parzialmente libero. Tenendo comunque presente che le amministrazioni sono vincolate nel loro agire ad rispetto della legge, al di là delle cose che la legge detta, al di là cioè delle prescrizioni della normativa, sembra che vi sia un ambito lasciato alla determinazione dell’autorità, ad es. le norme relative alla concessione di autorizzazioni da parte di enti competenti, ecc… si tratta di singole norme che possono lasciare, al di là del contenuto contemplato, spazi più o meno aperti alle scelte soggettive e opinabili dell’autorità competente: es. le miniere possono essere coltivate solo da che ne ha autorizzazione, ma tale autorizzazione può essere concessa sono dal ministro dell’industria, sulla base di proprie valutazioni tecniche ed economiche.
Ma tale idoneità può valutarsi sotto vari profili, e portare a scelte diverse a seconda dei parametri cui si fa riferimento. E si può scegliere o la migliore impresa sotto il profilo dell’attrezzature, o perché più esperta,m ecc.. ognuno al riguardo può avere le proprie idee, e non è difficile sconfinare nell’arbitrio. Principio portante è quello del fine. Quindi il primo passo che si deve fare per evitare tale arbitrio è l’individuazione dell’interesse pubblico, e agire secondo tale interesse. Va individuato in primis l’interesse o il fine primario (es. l’interesse primario per la concessione mineraria, è nell’interesse allo sviluppo industriale del paese), e cioè quello per la cui cura è stabilito il relativo potere. Questo tipo di principio è individuato difficilmente, e di solito dall’intero contesto normativo. E il più delle volte, quando cioè ci si trova di fronte a poteri a contenuto molto complesso, il fine primario si articola in più fini , ugualmente primari, oppure alcuni poteri possono essere attribuiti per fini diversi. In questo caso spetta alla p.a. individuare il fine per il quale in un determinato caso concreto si esercita il potere.
In ogni scelta dell’autorità è coinvolto, poi, un interesse di carattere finanziario. La scelta, inevitabilmente comporta un dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate per altri fini. Inoltre ogni scelta ha ad oggetto interventi sul territorio , visto che spesso possono essere coinvolti interessi ambientali, e in genere sanitari (come la salute, la salubrità dell’aria, dell’acqua, ecc…). insomma, l’interesse primario deve essere rispettato in relazione, poi, a questi altri interessi, che si presentano nei casi concreti.
Vi sono poi interessi di natura privata (il soggetto ad es. che viene espropriato del proprio fondo, ecc). tale interesse può essere anche sacrificato legittimamente, nei limiti di ciò che si pone come strettamente necessario per la collettività. Quindi, ogni esercizio del potere, in quanto volto al perseguimento di interessi primari, viene ad incidere su una pluralità di interessi, pubblici, collettivi e privati. Ma vi è di più: ogni azione svolta dalle p.a. deve seguire criteri di ragionevolezza;ogni scelta, infatti, deve essere logicamente consequenziale alla precedente. Ogni scelta fatta dalle p.a. deve perciò risultare ragionevole.
Una volta individuato l’interesse pubblico concreto, va valutata la posizione dei richiedenti. E quindi sarà preferito legittimamente un soggetto ad un altro, perché ad il primo presenta dei requisiti migliori, o ha più esperienza, ecc.. All’esigenza di ragionevolezza si collega un’altra esigenza , quella dell’imparzialità, che significa trattamento omogeneo delle situazioni omogenee e divieto di favoritismi. Questo principio a volte si traduce in un principio di giustizia sostanziale che attiene proprio all’azione amministrativa che non deve produrre situazioni di palese ingiustizia in capo ai singoli soggetti.
Per concludere, la scelta delle p.a. ha in sé 2 elementi di libertà e di vincolo. È libera al di là del rispetto delle prescrizioni della legge, ma è vincolata nel fine che è imposto e non può essere autonomamente predeterminato. E tale scelta in cui il potere discrezionale si estrinseca, può far riferimento a se o meno adottare un determinato atto, le modalità da seguire, quando operare, ecc.. ma solo nell’ambito lasciato LIBERO dalla norma. Fin dove prescrive la legge, per le p.a. non c’è possibilità di scelta , dove la legge tace c’è la scelta è possibile.