Almeno ipoteticamente la Comunità non dovrebbe avere apparati amministrativi propri: l’attività amministrativa di attuazione degli indirizzi comunitari, infatti, dovrebbe essere svolta da apparati amministrativi degli Stati membri. Questi dovrebbero sì perseguire gli obiettivi comunitari, ma per il resto dovrebbero rispettare il regime statale dell’attività amministrativa.

Per quanto la disposizione del Trattato appena vista non sia rispettata in assoluto, nella maggior parte dei casi si ha quella che viene chiamata amministrazione comunitaria indiretta, la quale si manifesta in due modi:

  • si può avere un’attivitĂ  degli apparati amministrativi italiani disciplinata nel suo contenuto da fonti italiane e svolta in diretta attuazione di atti di indirizzo statali, i quali, tuttavia, sono soltanto in parte autonomi, dal momento che debbono conformarsi a direttive comunitarie;
  • si può avere un’attivitĂ  amministrativa degli apparati amministrativi italiani che non solo persegue obiettivi indicati dal diritto comunitario, ma che è anche disciplinata nel suo contenuto direttamente da atti comunitari (regolamenti e direttive self-executing).

Non sempre vi è una netta distinzione tra attività amministrativa europea indiretta e diretta, e questo perché vi sono molti casi di c.d. co-amministrazione, ossia di amministrazione comunitaria svolta in modo integrato da apparati comunitari e statali.

Pur al di fuori delle materie di competenza comunitaria, comunque, in alcuni casi le leggi italiane operano dei rinvii a fonti dell’ordinamento comunitario oppure stabiliscono l’applicazione di discipline comunitarie a fattispecie da queste non contemplate.

In altri casi, anche se l’attività di amministrazioni italiane riguarda materie del tutto estranee a qualsiasi competenza comunitaria, è risultato piuttosto naturale fare ricorso a principi o a concetti in uso nel diritto comunitario (es. principio di proporzionalità, concetto di organismo di diritto pubblico).

In conclusione, quindi, il diritto italiano delle amministrazioni pubbliche risulta sempre più integrato da apporti comunitari e, dal momento che un simile fenomeno riguarda ovviamente tutti gli Stati membri dell’Unione europea, conseguentemente subisce un processo di omogeneizzazione che lo accomuna a quello degli altri Stati membri.

Occorre comunque sottolineare due considerazioni:

  • dato che l’Unione europea non è espressione di un proprio autonomo gruppo sociale, il diritto europeo non sembra poter essere che il risultato di apporti dei diversi diritti statali;
  • resta giuridicamente necessario distinguere tra due casi:
    • quando il diritto comunitario deve essere applicato in forza degli impegni presi coi Trattati, risulta quantomeno superflua la disposizione di uno Stato membro che ne preveda l’applicazione, dato che il relativo obbligo discende direttamente dall’adesione alla CE;
    • quando il diritto comunitario viene applicato in forza di una scelta statale autonoma, il rinvio corrispondente non può che essere di tipo non recettizio.

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