Accanto al fenomeno dello sviluppo cittadino che in certe zone sfociò nell’evento delle autonomie locali l’Europa del nuovo millennio vide il progredire di quei regni territoriali che formavano la nuova realtà politica su cui si sarebbe fondato il mondo moderno e il progredire delle monarchie europee era inversamente proporzionale al regredire dell’antico impero. Il pensiero della Chiesa era restio ad abbandonare il dogma dell’Unus imperator in orbe che nel temporale rispecchiava molto bene l’ufficio svolto dall’unus Papa nello spirituale eppure era stata proprio la riforma gregoriana a dare il colpo più grave alla vecchia immagine imperiale in quanto il nuovo ius gentium che il papa approvava ha introdotto la divisione dei regni. La frammentazione dell’impero portò al grande problema dell’applicazione universale del diritto romano che continuava a esser ritenuto l’ordinamento imperiale. Il Diritto comune poteva tranquillamente sussistere quando c’era interazione tra autonomie locali (urbes) e sovranità generale (orbis) ma strideva al contatto con una sovranità imperiale più ampia e un’altra sovranità più limitata dei vari regni ma in realtà due sovranità entrambe piene esclusive e gelose del controllo del proprio sistema giuridico. Ugoccione da Pisa si interessò proprio di ciò, sostenendo che la Chiesa si sarebbe dovuta imporre per impedire fratture e salvare la contestata universalità di Giustiniano per cui anche se Francia e Inghilterra non si riconoscevano dipendenti dell’Impero quantomeno non dovevano rifiutare l’uso del diritto romano in quanto le leggi giustinianee sono volute dalla Chiesa a cui tutti comunque devono obbedire. Intorno alla metà del XIII secolo Bernardo da Parma che era il glossatore ordinario delle decretali gregoriane enunciò un principio di salvaguardia della vigenza del diritto romano in tutta Europa . Una sua famosa glossa diceva che solo de iure (secondo le leggi romane per cui nel pensiero di Bernardo esse legittimavano se stesse) tutti fossero sottoposti alle norme di Roma, ma che de facto taluni popoli non le applicavano.
Restaurazione dei domini della Chiesa nel tardo impero. In Italia la legge romana da sempre si applicava ovunque tuttavia esistevano ordinamenti monarchici che ponevano problemi particolari circa la sua legittimazione. Nei domini della Chiesa era escluso che il diritto romano vigesse ratione Imperii in quanto da Gregorio VII era stata negata qualsiasi dipendenza dal potere temporale ma per giustificarne l’uso si poteva comunque ricorrere alla ratio pontificis. La cattività avignonese permise che le autonomie locali cittadine si gonfiassero e diventassero Comuni, con podestà e capitani del popolo e poi con tiranni. Il cardinal Egidio di Albornoz, incaricato da Innocenzo VI di restaurare l’autorità pontificia, trovò gran parte dei domini della Chiesa sotto i tiranni. Ebbe 2 legazie. Essendo un’abile statista talvolta estromise i tiranni e altre volte li sottomise e in altri casi ancora riuscì a far nominare signori se stesso o il papa ponendosi come scopo non di ricostruire uno Stato unitario mai esistito (ogni distretto aveva il suo diritto locale infatti) bensì di ristabilire un’autorità del pontefice su città e provincie. Egli nel 1357 a Fano pubblicò le Costituzioni egidiane che la storiografia prendendo alla lettera qualche intenzione espressa in bolle battezzò come il Codice dello stato pontificio: per cui l’opera si sarebbe posta accanto al diritto canonico a rappresentare lo sdoppiamento della Chiesa nei due ordinamenti temporale e spirituale.
Lo stato normanno.. Ciò rappresentava l’apice della identità politica più forte d’Italia; la dominazione normanna. La leggenda della nascita di questo diritto narra che verso l’anno Mille quaranta cavalieri normanni di ritorno da un pellegrinaggio ai Luoghi Santi si fermarono a Salerno assediata dai Saraceni e vennero in aiuto di Guimario principe longobardo. Avendo dato un contributo fondamentale non solo Guimario li coprì di doni ma mandò anche un’ambasceria in Normandia per arruolare un corpo di ausiliari. Altre leggende raccontano che qualche anno dopo un gruppo di normanni accusati di assassinio lascò la patria per sfuggire alla collera del duca Riccardo e gli esuli vennero dapprima a Capua e poi dopo si trasferirono in Puglia al servizio del pugliese Melo nella rivolta verso i Bizantini. comunque sicuro c’è che Roberto il Guiscardo si impadroniva dei territori del continente e il fratello minore Ruggerio I conquistò la Sicilia araba entrando a Palermo nel 1072 e il figlio di questi nel 1128 avava in mano anche il ducato di Puglia e di Calabria, il principato di Salerno quindi tutto il mezzogiorno. Ruggero fu incoronato re dall’antipapa Anacleto II nella notte di Natale del 1130. A Ruggero passò sicuro per la mente l’idea di emulare Carlo Magno, ma ancora di più pensò di impersonare uqel modello imperiale bizantino che non per nulla è tratto a rappresentare le incoronazioni normanne nei mosaici di Monreale. Tuttavia la concezione bizantina della dignità e dei poteri monarchici si accompagnava all’idea di una Chiesa istituzione dello Stato e quindi sottoposta al governante e questa dottrina fu fatta propria dai normanni, mentre ovviamente la S. Apostolica non poteva tollerare dipendenze dal potere laico che la riforma gregoriana rifiutava. La Chiesa allora tentò di mascherare di una legittimità canonica l’esercizio dei poteri che i re normanni si erano arrogati sulla vita e organizzazione delle chiese concedendo loro la Legazia Apostolica, concessa da Urbano II a Ruggero e al figlio. La nomina di un laico anziché di un ecclesiastico era cosa strana ma contribuiva a giustificarla la benemerenza acquistata dal Gran Conte per la fede cristiana e per aver tolto all’Islam la Sicilia. Per il papa era una legazia temporanea e revocabile, ma i re videro le cose diversamente e col tempo la stabilizzarono nelle proprie mani.
Strutture amministrative dello stato normanno. Esse apparivano come un intreccio di tradizioni bizantine, franche e mussulmane. Riguardo al governo centrale si è parlato di 7 uffici principali (Logoteta,Protonotario, Grande ammiraglio, gran giustiziere, gran cameraio, gran connestabile, gran siniscalco e gran cancelliere)ma spesso non erano tutti contemporaneamente presenti e le competenze non erano fissate ma lasciate all’arbitrio del sovrano. A livello provinciale poi si nota la comparsa di giustizieri investiti della giurisdizione penale in ampie circoscrizioni e di camerarii di rango inferiore investiti della giurisdizione nelle cause del fisco. Nelle città si vedono i baiuli cioè giudici scelti dai cittadini ma di nomina regia che svolgono la giurisdizione civile. Per quanto riguarda i feudi,si dice che il feudo vero e proprio sia stato introdotto nel Mezzogiorno dai normanni che però non ne fecero una struttura portante dello stato come in Inghilterra (che loro avevano trasformato in regno feudale) bensì li considerarono alla stregua di “circoscrizioni territoriali entro le quali dei burocrati esercitavano i poteri regi in qualità di delegati del sovrano”. I feudi erano saldamente nelle mani del re in quanto i territori dei feudatari appartenevano al demanio e quindi non potevano essere alienati o sminuiti.
Assise e altri fonti normative. Il Calasso ha parlato di “caleidoscopio giuridico” pensando all’incontro di spezzoni di diritto mussulmano, giustinianeo, bizantino e longobardo. A fornire la forza unificante fu però lo ius novum normanno. I normanni chiamarono le loro diete, molto frequenti, assise un nome che finì con l’adattarsi con quanto nell’assisa di promulgava. Proprio un primo gruppo di 43 costituzioni sarebbe stato emanato da Ruggero II nella assisa di Ariano del 1140. Nel 1230 si erano disperse queste assise e Federico II incaricò per ritrovarle e introdurne un certo numero l’anno successivo nel suo Liber Augustalis, dove accolse 37 costituzioni ruggeriane e circa una trentina di Guglielmo II. Colpisce che in un sistema in cui il diritto comune è ancora lontano le leggi romane siano messe in un unico calderone di ius vetus insieme con le consuetudini.
Gli svevi. Dopo la morte di Guglielmo II nel 1189 Enrico VI imperatore figlio del Barbarossa vide profilarsi la prospettiva di prendere il regno di Sicilia giocando sui diritti ereditari di sua moglie Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II. Erano diritti da far valere con le armi perchè il conte di Lecce Tancredi era stato nominato re dalla nobiltà normanna alla morte dello zio sovvertendo le regole perchè di solito di predecessore designava il successore. Il caso volle comunque che Tancredi morisse e Enrico potesse allora impadronirsi di Palermo e del trono ma morì poco dopo e la vedova costanza riuscì prima di morire anche lei a far incoronare il figlio Federico di 4 anni nel 1198. Federico venne posto per 10 anni sotto la tutela di papa Innocenzo III ma all’età di 14 anni Federico si proclamò maggiorenne e nel 1212 fu fatto re di Germania e nel 1220 a Roma si fece incoronare imperatore da Onorio III e scese a prender possesso del Regno di Sicilia. Egli al sud fu continuatore e riformatore della politica dei suoi avi normanni e gli va dato merito di aver razionalizzato e portato a maturazione le strutture del regno assicurando l’unità che si poteva dare a un paese frazionato da etnie, culture ecc. Nella dieta di Melfi del 1231 pubblicò il Liber constitutionum Regni Siciliae (Liber Augustialis),il miglior codice dell’Europa medievale,
La costituzione Puritatem del Liber Augustialis. Le antiche leggi di cui dovette tener conto nel suo codice erano la longobarda (diffusa a Benevento) e la romana (oramai solo quella giustinianea a discapito della tradizione bizantina grazie allo Studio di Napoli). Ci furono tarde versioni della costituzione Puritatem che dichiarano quelle due leggi “diritti comuni del regno” e sempre la stessa sosteneva che la scelta dell’uno o dell’altro diritto comune avvenisse ai sensi del decrepito principio della personalità della legge che a giudizio del Calasso nel 1200 era già acqua passata. Per Calasso l’unico diritto comune è dappertutto il corpus giustinianeo e quindi l’appellativo dato al longobardo da Federico sarebbe stato usato tecnicamente e avrebbe alluso al semplice dato di fatto della sua applicazione generale in vasti territori. Molti giuristi posteriori sembreranno addirittura esser all’oscuro di quella frase controversa della Puritatem