Tra educazione e comunicazione c’è uno stretto rapporto, poiché si educa comunicando. La relazione educativa si serve anche di linguaggi e canali comunicativi artificiali, a partire dalla scrittura fino ai moderni media audiovisivi e telematici. Al tempo stesso, ci si educa a comunicare.
La capacità di comunicare affonda le sue radici nella specificità della nostra natura, nella nostra facoltà di riconoscere e comunicare i significati attraverso il linguaggio ed altri sistemi di segni, ma essa deve essere coltivata, diviene oggetto di un apprendimento nella relazione con gli «altri importanti» (genitori, insegnanti, amici) e via via con le persone che incontriamo nelle cerchie sociali e nei contesti nei quali siamo inseriti. Ma, ancor più radicalmente, comunicazione ed educazione testimoniano entrambe della costitutiva natura relazionale dell’uomo. Per questo la comunicazione ci appare come la più normale e consueta delle attività umane.
I media comunicativi
esistono due grandi tipi di media comunicativi: il primo è costituito da mezzi di comunicazione che oggi vengono chiamati social network (media a cui giovani fanno sempre più ricorso, allacciando relazioni non sempre immune da pericoli); il secondo è costituito dai Mass media, primo tra tutti la televisione, che agiscono come canali e come i filtri di quanto ci raggiunge.
I media e gli esempi educativi
Tre sono gli aspetti di forza dei media:
1) conferiscono prestigio a ciò di cui si occupano
2) forniscono materiale ai nostri discorsi
3) trasmettono un realismo con relazioni para-sociali.
La conseguenza è la pervasività dell’ambiente mediatico.
Tuttavia l’incontro avviene sempre fra due libertà e due volontà autonome: quella dell’emittente e quella del destinatario.
Nonostante molti genitori si lamentino di come i modelli proposti dalla tivù siano spesso fuorvianti, però, il Rapporto invita le famiglie a non crearsi alibi: «Il punto decisivo non è il fascino dei media ma la credibilità degli adulti, con tutta la fatica che comporta e che, sola, rende possibile e persuasiva l’educazione». Ecco l’idea guida che il Progetto culturale lancia alla famiglia: la credibilità degli adulti in carne e ossa rispetto a quelli visti in tivù.
Se un bambino e un ragazzo pensassero che il mondo reale fosse popolato solo dagli adulti spesso fatui, quando non violenti, traditori e mentitori che il piccolo schermo ci propina, allora non ci sarebbe speranza. Ma non è così.
L’ambivalenza educativa dei media e la credibilità degli adulti
I media – soprattutto la televisione – sono soggetti del processo educativo. Ma hanno anche una responsabilità educativa? La risposta è complessa: no, se si considera che l’educazione nasce all’interno delle relazioni tra persone; sì, se si pensa che nulla di quello che si comunica è privo di valore educativo. Per il ruolo che oggi hanno nella vita di tutti e soprattutto in quella dei giovani, i media interferiscono, eccome, nel processo educativo: possono assecondarlo e sostenerlo come renderlo più arduo e rischioso.
Il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, com’è noto, pesa in modo rilevante sulla ‘costruzione della percezione’ dell’emergenza educativa; così come, in generale, pesa sulla nascita, sul rafforzamento e sui piccoli o grandi mutamenti di ogni rappresentazione sociale. Quello, però, che non andrebbe favorito bensì decisamente contrastato, è proprio il tono allarmistico con cui si trasmettono notizie di negligenze, manchevolezze o anche violenze, legate al mondo della scuola e dell’educazione. Il rischio che si sta correndo, infatti, è duplice. Per un verso, si alimentano e si accrescono le paure e i pregiudizi dell’opinione pubblica, senza che i mezzi di comunicazione, di solito, accompagnino o sollecitino una riflessione non banale su tali fatti. Per altro verso, si possono generare effetti perversi di emulazione, quasi che il palcoscenico mediatico, soprattutto nelle percezioni e rappresentazioni dei più giovani, surroghi interamente la realtà. Di fatto, per i mezzi di comunicazione, i confini tra l’interesse per l’educazione e quello per le nuove generazioni sfumano e talvolta si confondono. Con il risultato che, il più delle volte, ci troviamo davanti a una ‘banalizzazione’ dell’emergenza, anziché alla ricerca delle sue cause e delle risposte più opportune per fronteggiarla.
Nello svolgimento pratico la logica che sta alla base è sempre quella della ricerca del massimo indice di ascolto e, quanto ai contenuti, le caratteristiche sono:
1) I programmi sono svolti per i più piccoli e poi per il mondo degli adulti. Non c’è attenzione né per i pre-adolescenti né per gli adolescenti.
2) I cartoni animati fanno la parte del leone. Invece i bambini avrebbero bisogno di esplorare la realtà e, spesso, finiscono per seguire i programmi per adulti.
3) Spesso si inserisce il marketing, i gadget, la strategia pubblicitaria e tutto condiziona l’utenza.
I criteri di credibilità dei media
Due sono i criteri di credibilità dei media:
1) Cercare e dire la verità.
Non come ha detto Luhmann valorizzare solo quello che ha il carattere di “novità”, ma sinceramente cercare di comprendere come stanno le cose, senza temere controlli e smentite.
2) Orientamento all’umano.
Evitare di parlare quasi esclusivamente il linguaggio delle emozioni, senza sollecitare la riflessione. La scuola in particolare ha il compito di abituare al giudizio ed all’esercizio del senso critico: giudicare secondo i valori del bene, del bello, del buono, del giusto.
Le principali tendenze negative dei programmi dei media sono:
a) l’identità spettacolarizzata: l’apparire, la notorietà
b) il fascino del negativo: cattive notizie, devianze, situazioni di odio, frustrazioni
c) l’immagine dell’adulto ed il disincanto del bambino: si procede ad una delegittimazione del mondo degli adulti “gli adulti corrotti, violenti, mentitori”.
Questo porta nei bambini disillusione e sfiducia su ogni comportamento adulto.
I nuovi media e la loro responsabilità
Occorre cogliere le opportunità educative di Internet, blog e quant’altro di nuovo la comunicazione digitale offre ai ragazzi, senza lasciarsene spaventare. I social network favoriscono la socializzazione tra coetanei e ciò apre alla possibilità di una responsabilità dei giovani a diventare protagonisti consapevoli e critici della comunicazione digitale.
L’amicizia è sempre una relazione educativa, e dunque nemmeno quella digitale fa eccezione. Certo, occorre che la famiglia si attrezzi per non restare esclusa dai mondi dei propri figli. C’è un problema di vigilanza e di accompagnamento, per cui i genitori devono sforzarsi di apprendere il linguaggio del mondo digitale per poter accompagnare i figli al suo interno. Non solo: le competenze dei figli nei new media possono propiziare una sorta di rovesciamento delle parti, con i giovani che “educano” i genitori. La valorizzazione degli interessi e delle capacità del ragazzo è un fatto importante nella crescita dell’autostima e può favorire un dialogo in cui i genitori “ascoltano” i loro figli senza rinunciare alla loro funzione di accompagnamento verso la scoperta del proprio valore personale e di ciò che dà senso alla vita.
Gli operatori dell’informazione vengono richiamati a una responsabilità personale. Chi lavora nei mass media non può essere cinico, perchè ciò che arriva al pubblico passa attraverso le scelte e la sensibilità degli addetti ai lavori. E se la nostra esperienza quotidiana testimonia che il cinismo è l’atteggiamento normale di chi fa informazione, occorre comunque non arrendersi a questa logica.
Ciò che vediamo nei media o in tivù è prodotto da un’ élite professionale e culturale composta di giornalisti, responsabili di palinsesto, autori, registi, produttori. Certo, ci sono vincoli esterni e oggettivi nell’autonomia del loro lavoro, ma la responsabilità della persona non può essere mai messa fuori gioco. Per questo, fare appello alla personale responsabilità degli operatori della comunicazione non è tempo sprecato. Né che lo sia investire sulla formazione, non solo professionale, ma anche culturale ed etica, dei giovani che desiderano intraprendere questo difficile mestiere. “Chi dice che cosa”, non è mai indifferente. Occorre inoltre chiedere con forza che le scelte dei palinsesti televisivi siano ispirati al cosiddetto principio di precauzione , che l’unione europea stabilisce possa essere invocato quando è necessario un intervento urgente a fronte di un pericolo per la salute umana e che potrebbe essere invocato anche per i prodotti mediali, potenzialmente pericolosi per la salute psicologica e relazionale delle persone.
Qui entrano in gioco tutti coloro che devono raccogliere la sfida di trasformare il mondo dei media in un luogo educativo. La scuola, che dovrebbe inserire nei programmi la media education per avviare i ragazzi a un consumo critico. Le famiglie, che devono attivare difese di fronte a contenuti inadatti. L’associazionismo familiare, che deve farsi strumento di pressione per chiedere programmi più «rispettosi dell’umano».