Atti dannosi leciti e illeciti

Non ogni atto dannoso è vietato. Nella vita associata accade assai spesso di recar danno ad altri lecitamente.

Altre volte, invece, l’atto dannoso è vietato (atto illecito): esso può venire preventivamente impedito, se possibile; una volta commesso, dà luogo a responsabilità per i danni.

Questa ha la funzione, da una parte, di risarcire il danneggiato; al tempo stesso costituisce una sanzione che colpisce chi si è comportato in modo vietato e la cui minaccia dovrebbe contribuire preventivamente a scoraggiare il compimento di atti illeciti.

Atipicità degli atti illeciti

In Italia si è formulato un principio assai generale, quello dell’art. 2043 c.c., il quale definisce l’atto illecito come qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto.

Si è accolto un principio di atipicità degli atti illeciti. Spetta all’interprete il compito di specificare il concetto di ingiustizia del danno, in modo da determinare le figure concrete degli atti illeciti.

La soluzione di questo problema dipende dalla valutazione comparativa di due interessi contrapposti: l’interesse minacciato da un certo tipo di condotta e l’interesse che l’agente con quella condotta realizza o tende a realizzare.

Illeciti contro la persona

Sono illeciti, innanzitutto, gli atti lesivi della vita, dell’integrità fisica, della salute e della libertà altrui.

Una lesione della salute può essere causata non solo materialmente, ma anche con atti o parole che cagionino uno shock nervoso o turbamenti d’animo di particolare gravità.

La libertà è tutelata contro la costrizione fisica, la minaccia  l’inganno.

Nel caso di uccisione di una persona un diritto al risarcimento viene attribuito ai familiari.

Illeciti contro l’onore, la riservatezza e la verità personale

Costituiscono diffamazione e sono illecite le comunicazioni di notizie, voci, apprezzamenti che offendono la reputazione altrui.

La responsabilità civile, in applicazione dell’art. 2043 c.c., può derivare anche da atti colposi.

La tutela dell’onore presenta, però, spesso un problema, quello di venire in conflitto con l’esigenza della libertà di parola, necessario presupposto del dibattito e della critica politica, letteraria, scientifica, della cronaca, della storiografia e dello steso esercizio di alcune funzioni pubbliche.

Innanzitutto vi è un’assoluta immunità dei membri del Parlamento per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni (art. 68 Cost.). inoltre costituisce causa di giustificazione l’esercizio di funzioni giurisdizionali, e lo stesso è a dirsi per l’esercizio delle funzioni amministrative.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la verità del fatto stesso non costituisce, per sé sola, una causa di giustificazione: occorre che la divulgazione del fatto vero risponda a un interessamento apprezzabile. Perciò sono cause di giustificazione l’esercizio della cronaca e della critica su fatti di pubblico interesse e la comunicazione di notizie nello svolgimento di un rapporto professionale o di cooperazione purchè i fatti enunciati siano veri e i giudizi critici siano proporzionati allo scopo che li giustifica.

Diffondere sul conto di una persona notizie non vere, anche se non diffamatorie, costituisce lesione del suo diritto all’identità e verità personale.

Ogni persona ha, infine, diritto alla riservatezza della vita privata, cioè ad una sfera di intimità sottratta alla curiosità degli estranei. L’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza e di qualsiasi altra forma di comunicazione sono principi enunciati dalla Costituzione (artt. 14, 15 Cost.), la cui violazione è colpita da sanzioni penali e civili. La legge civile vieta inoltre di esporre o pubblicare l’immagine di una persona senza consenso di questa (art. 10 c.c.). La pubblicazione è però lecita quando sia giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione sia collegata ad avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico, purchè non si rechi pregiudizio ingiustificato alla reputazione o anche al decoro della persona ritratta.

Infine la legge detta una disciplina limitativa della raccolta e della diffusione dei dati personali.

La giurisprudenza va oltre queste specifiche disposizioni e riconosce ora un diritto generale alla riservatezza: diritto che è violato se si divulgano, attraverso la stampa, il cinematografo, o altrimenti, fatti della vita privata di una persona, anche non disonorevoli, ma riservati.

Lesioni di diritti reali

Nel campo degli interessi patrimoniali la tutela più intensa spetta ai diritti reali.

Sono illeciti, innanzitutto, gli atti che danneggiano materialmente la cosa o a distruggono.

Il diritto reale altrui si può violare anche attraverso l’impossessamento o la disposizione della cosa, che sottragga all’avente diritto; in questo caso la piena responsabilità per il danno si ha solo nelle ipotesi di malafede e di colpa grave.

Pregiudizio a posizioni contrattuali

La lesione più ovvia del credito contrattuale proviene dal debitore, quando non esegua la prestazione dovuta, o adempia male o con ritardo.

Ma una posizione contrattuale può venire pregiudicata anche da un terzo, quando in qualche modo cooperi con il debitore nell’inadempimento.

Il terzo incorre in responsabilità quando, mosso dall’intento specifico di danneggiare il creditore, induca il debitore all’inadempimento mediante incentivi impropri o cooperi con lui attivamente in una manovra fraudolenta a danno del creditore.

Concorrenza sleale e illeciti contro l’impresa

Commette concorrenza sleale l’imprenditore il quale compia atti idonei a creare confusione della propria attività e dei propri prodotti con attività e prodotti del concorrente, oppure diffonda notizie ed apprezzamenti idonei a determinare il discredito dei prodotti e dell’attività del concorrente, oppure si appropri di pregi dei prodotti o dell’impresa del concorrente.

L’art. 2598 c.c. dopo avere menzionato queste categorie di atti, conclude con un generale divieto degli atti dannosi non conformi ai principi della correttezza professionale.

Falsa informazione

La falsa informazione costituisce un illecito civile anche quando sia solo colposa; ma ove si tratti di un’informazione di cortesia la responsabilità è limitata ai casi di dolo o colpa grave.

Illeciti connessi con l’amministrazione della giustizia

La denuncia penale dell’innocente è colpita da sanzione solo se vi è malafede del denunciante.

L’agire o il resistere in un giudizio civile avendo torto sono fonti di una piena responsabilità per i danni solo se risulta che la parte soccombente era in malafede o i colpa grave.

Il provvedimento del giudice che abbia deciso ingiustamente può essere impugnato per ottenerne rapidamente il riesame. La legge limita la responsabilità del giudice alle ipotesi di dolo e ad ipotesi particolari e ben definite di colpa grave. Mentre la responsabilità per dolo è sottoposta alla disciplina ordinaria, nelle ipotesi di colpa grave il danneggiato non può agire contro il giudice, ma può chiedere il risarcimento del danno solo allo Stato, il quale, dopo aver pagato il risarcimento, eserciterà un’azione di rivalsa contro il magistrato, ma per una misura non superiore ad un certo limite.

Responsabilità per omissione

L’omissione diventa giuridicamente illecita quando costituisca violazione di uno specifico dovere giuridico di agire: questo può derivare dalla legge, da un contratto o da un precedente comportamento attivo.

Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte

Il padre e la madre sono responsabili congiuntamente del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati che abitino con essi (art. 2048 c.c.).

Il figlio minore può non essere personalmente responsabile, se si tratta di un bambino (artt. 2046, 2047 c.c.); se invece si tratta di un giovane che abbia già la capacità naturale di intendere e di volere, allora egli è personalmente responsabile, in solido con i genitori.

La responsabilità dei genitori è fondata sulla presunzione di una colpa nella sorveglianza: questa presunzione può venire eliminata con la prova di non aver potuto impedire il fatto.

La stessa regola si applica al tutore.

I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del fatto illecito dei loro allievi o apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro sorveglianza a meno che provino di non aver potuto impedire il fatto (art. 2048 c.c.).

Le cause di giustificazione

Comportamenti che sono generalmente antigiuridici possono essere in alcuni casi, giustificati da particolari circostanze. L’art. 51 c.p. menziona fra le altre cause di giustificazione l’esercizio di un diritto.

Esistono però anche alcune cause tipiche di giustificazione:

  • Consenso      dell’avente diritto. Non è responsabile chi lede un diritto con il      consenso della prona che può validamente disporne (art. 50 c.p.). i diritti personali alla vita, alla salute,      all’integrità fisica (art. 5 c.c.),      all’onore e i diritti fondamentali di libertà non sono disponibili.
  • Legittima      difesa. Non è responsabile chi ha commesso il fatto per esservi stato      costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro      il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia      proporzionata all’offesa (art. 2044      c.c., art. 52 c.p.).
  • Agisce      in stato di necessità chi compie un fatto dannoso costrettovi dalla      necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave      alla persona, se il pericolo non è stato da lui volontariamente causato,      né era altrimenti evitabile. A differenza dell’ipotesi di legittima      difesa, qui il danneggiato non è in torto: il pericolo non proveniva da      lui, bensì da un fatto di natura, oppure dal fatto di un terzo. D’altra      parte non si considera in torto neppure il danneggiante necessitato.      Perciò la legge impone che il danno vada ripartito fra l’uno e l’altro in      una misura che appaia equa secondo le circostanze (art. 2045 c.c.). lo stato di necessità si ha solo quando il      danneggiante agisca per salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave      alla persona: l’esigenza di salvare una cosa, o di evitare il pericolo di      un danno non grave alla persona non giustifica il sacrificio di diritti      altrui.

Il dolo

Il divieto di danneggiare altri ingiustamente si riferisce tanto agli atti diretti a cagionare danno (atti dolosi), quanto agli atti che non intendono cagionare danno ma determinano il pericolo del suo verificarsi (atti colposi) (art. 2043 c.c.).

Il dolo consiste nella coscienza e nella volontà di cagionare l’evento dannoso.

La colpa

l’illecito è colposo quando l’evento dannoso non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia; ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline.

Il criterio di valutazione del comportamento dell’agente è costituito dalla diligenza dovuta secondo le circostanze. Questa non coincide con la diligenza media o usuale in circostanze analoghe. La diligenza usuale vale solo come misura del minimo dovuto: l’avere adottato una diligenza inferiore costituisce sempre colpa.

La creazione di un rischio di danno non costituisce sempre un’imprudenza colpevole. Perché si possa parlare di colpa occorre che il rischio vada oltre la misura che si considera socialmente giustificata e tollerabile. Questa non dipende solo dalla probabilità dell’evento dannoso, ma anche dalla gravità del danno che ne risulterebbe. La probabilità e la gravità del danno va poi confrontata con l’utilità sociale del tipo di condotta in questione e con il costo delle misure idonee a ridurre o ad eliminare il rischio.

Atti colpiti solo se compiuti con l’intenzione di nuocere, oppure con dolo o con colpa grave

Di regola, la lesione di un interesse giuridicamente tutelato implica responsabilità tanto se è dolosa, quanto se è colposa (art. 2043 c.c.). questa regola comporta, però, alcune eccezioni. Talvolta la responsabilità può derivare solo da atti commessi con dolo, oppure da atti commessi con dolo o con colpa grave.

La capacità di intendere e di volere

Il presupposto perché l’atto illecito possa venire imputato all’agente è che questi avesse la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso (art. 2046 c.c.). Ci si riferisce qui alla capacità naturale e non alla capacità legale.

La capacità naturale può essere esclusa può essere scusa da insufficiente maturità, dovuta alla giovane età, da malattia mentale, da altre minorazioni, da stati ipnotici, da ubriachezza o da intossicazione per mezzo di stupefacenti. Se lo stato di incapacità deriva da colpa dell’agente, questi resta responsabile.

In caso di danno cagionato da persona non responsabile per incapacità, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.

Lascia un commento