Quindi per Einstein nel mondo nascosto della psiche analizzata da Freud si deve cercare la risposta. Questa tematica viene in parte misconosciuta da Freud, che riconosce Einstein come un generoso armato di buone intenzioni e potrebbero comunque esser un artificio cui Freud ricorre per abbassare la soglia delle aspettative davanti a un tema così vasto. Il punto comunque da cui bisogna sviluppare un discorso per Freud è quello del rapporto diritto-violenza, in quanto violenza indica forme di comportamento più aggressive di forza. Il diritto stesso trova la genesi in un atto di violenza originaria capace di imporre validamente una regola: in pratica per Freud alle origini ci furono conflitti tra uomini in cui chi fu più forte vinse uccidendo il nemico e ciò va avanti finche non ci si accorge che il nemico può esser utile e quindi si entra in un’ottica di stabilità e quindi nasce il diritto. La condizione psicologica che segna il passaggio dalla violenza al diritto sarà quindi la trasformazione della violenza in forza conservativa e stabilizzante (per Hobbes nelle mani del sovrano). Il diritto conserva sempre però la violenza perché il rapporto vincitore-vinto sarà sostituito da quello servo-padrone e tra i vincitori si riaprirà la competizione violenta. E’ quindi quello di una lotta infinita il panorama freudiano che si può interrompere solo se c’è una forte coagulazione della violenza (anche quella del suddito che da tutto nelle mani del sovrano).  E’ scartato Marx che sosteneva un universalismo pacifico con l’avvento della classe operaia. In pratica ogni idea della comunità si scontra con la necessità di esercitare la violenza ( magari legittima, ma cmq violenza) a un certo livello. E allora la società è cementata da coercizione violenta e legami emotivi tra membri, da cui si determina che il diritto dice l’ultima parola sulla violenza ma lo fa per atto di decisione non per consenso. Ma anche la validità di norme può portare a una fallacità normativa: una norma contro la guerra, sostenuta da leopardi, non la eliminerà mai ma almeno si introdurrà un principio speranza.

Per Freud gli uomini incitati alla guerra acquisiscono il piacere di aggredire e distruggere che ne commisura ogni atrocità della storia. Sarebbe quindi assurdo come già detto vietare il soccorso alla guerra in quanto si andrebbe incontro a una fallacia normativa, in quanto esso sarebbe un tabu che normalmente si suole violare. Freud sostiene allora che il qualcosa che infervora l’uomo alla guerra va ricercato nel mondo pulsionale analizzato dalla psicanalisi. Il mondo è diviso tra pulsioni erotiche che tendono a unire e pulsazioni aggressive che tendono a uccidere. Queste 2 pulsioni hanno un confine labile e hanno una reciproca relazione piuttosto complessa e spesso si mescolano: es. la tendenza all’autoconservazione è erotica ma si manifesta anche con forme distruttive rivolte all’esterno. Abbiamo quindi una sorta di complicità rivale. E la guerra vive di ciò, sebbene Freud distingua tra guerre di aggressione e di difesa. E allora il codice della violenza si presenta nella sua ambivalenza partecipando di una natura doppia che può esser misconosciuta: anche Platone parlava di guerra come di questa duplice pulsione. La guerra quindi, frutto di questa ambivalenza, è l’archetipo perfetto dell’invidia in quanto chi ricorre a questa dice di farlo per un giusto motivo mentre imputa giustizia agli altri che vi ricorrano ( se uno possiede le armi son garanzia di sicurezza se le ha l’altro son aggressività e ingiustizia). Il discorso rimane però doppio in quanto opporre guerra alla guerra equivarrebbe al farmakon greco, ossia contemporaneamente veleno e antidoto. E allora si pratica la violenza per evitare la violenza non uscendo mai dal suo circuito (es. guerra fredda)

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