Tuttavia, se si legge il titolo “pro derelicto” di Ulpiano (collocato nel Digesto in materia di usucapione), si comprende che i casi sono astratti e tipizzati (nel senso che i giureconsulti raggruppano le possibili situazioni concrete sotto elementi comuni che giustifichino la stessa soluzione). Ad esempio i giuristi esaminano i casi per stabilire volta per volta se in base agli elementi di fatto si possa ritenere che il dominus ha perso la proprietà della cosa, e se chi se ne è impadronito poteva acquistarla; tuttavia sempre i giuristi davano importanza all’animus derelinquendi (ma questa rilevanza era determinata “caso per caso” , sulla base di criteri che gradualmente si tipicizzavano, ma che potevano poi comunque modificarsi). Il giurista romano rispetto al giudice inglese fa un’attività scientifica (non mira solo al risultato dell’attività pratica): ciò porta a un certo livello d’astrazione. I giudici inglesi non scrivono opere scientifiche.

La risposta al secondo quesito per Vacca è che l’irrigidimento degli istituti in schemi concettuali dogmatici può comportare la creazione di contenitori a cui male s’adatta la sostanza delle soluzioni romane (questo vale es. per la perfetta equiparazione delle cose abbandonate alle res nullius; per la configurazione dell’acquisto delle res pro derelicto habitae come acquisto a titolo originario ecc.)

L’appiattirsi delle soluzioni giurisprudenziali nelle concettualizzazioni pandettistiche

Il giurista oggi è chiamato a comprendere meglio i nessi genetici delle attuali formulazioni normative, anche per disincrostarle da quelle aberrazioni logico-pratiche cui talvolta può condurre l’interpretazione astratta e astorica del semplice enunciato formale.

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