Il procedimento relativo ai giudizi davanti alle assemblee popolari ha carattere tipicamente inquisitorio. Esso è promosso d’ufficio dal magistrato, dell’intima all’accusato di comparire a una certa data dinanzi ad un’assemblea informale del popolo, specificando l’imputazione e la pena che intende proporre.

L’accusato, se richiesto, deve fornire dei garanti della sua comparizione (vades), altrimenti è sottoposto a detenzione preventiva.

Il giorno stabilito il popolo si raccoglie nel foro, e di fronte ad esso il magistrato espone le ragioni dell’accusa. L’imputato svolge le sue difese, di persona o per mezzo di un avvocato, e sono sentiti i testimoni addotti dalle parti. Tale procedura, nota come anquisitio, è rinnovata in altre due contiones, che si susseguono a distanza di almeno un giorno l’una dall’altra.

Al termine della terza riunione il magistrato, ove non ritenga di desistere, formula l’accusa definitiva e propone al popolo la condanna, fissando la data in cui dovranno tenersi l’ultima contio e i comizi giudiziari.

Se si tratta di un processo capitale tribunizio la data dei comitia centuriata è invece fissata, su richiesta del tribuno procedente, dal pretore urbano.

Dopo un intervallo di almeno 24 giorni ha luogo la contio conclusiva, nella quale il magistrato, confermata l’accusa sulla base delle prove raccolte nelle precedenti contiones (quarta accusatio), invita l’assemblea ad esprimere il proprio giudizio sulla responsabilitĂ  dell’imputato. Quindi il popolo si raduna ufficialmente nel campo Marzio o nel foro, a seconda che la causa sia di competenza dell’assemblea centuriata o tributa, ed emana la sentenza.

Nei tempi piĂą antichi il voto è dato a voce; in seguito per mezzo di tavolette. L’aggiornamento della votazione ad una data successiva a quella risata è escluso: se per qualunque motivo la sentenza non può essere pronunciata nel giorno stabilito, il processo si conclude e il magistrato non può piĂą riproporlo.

L’esecuzione della pena di morte è rimessa a uno schiavo pubblico, il carnifex, sotto la sorveglianza dei magistrati preposti alle pubbliche carceri. La forma solitamente adottata è quella dello strangolamento.

La pena di morte veniva di fatto applicata assai raramente, essendo diffusa la prassi di consentire all’imputato, finchĂ© non fosse stato pronunciato l’ultimo voto decisivo per la condanna, di abbandonare il territorio cittadino e di recarsi in volontario esilio presso un’altra cittĂ , stretta a Roma da un accordo internazionale che riconoscesse tale diritto. All’espatrio del reo seguiva un formale provvedimento di «interdizione dell’acqua e del fuoco», che importava la perdita della cittadinanza, la confisca dei beni e il divieto di rientrare, sotto pena di morte, nel territorio urbano.

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