Sotto Augusto e i suoi successori e sorge e si sviluppa una cognitio senatus, ove il consenso dei patres, riunito in assemblea plenaria, funge da alta corte di giustizia le cui decisioni hanno valore di sentenza. L’assunzione da parte del senato di questo nuovo potere giurisdizionale fu graduale, e si operò sotto l’impulso dell’imperatore.
Agli inizi del regno di Tiberio e il senato è la corte regolare per i due principali crimini delle classi elevate: la maiestatis e la repetundae. Occasionalmente si occupa anche di altri reati che in via ordinaria rientravano nella competenza delle quaestiones, come l’omicidio, la vis, l’adulterio, il falso e la calunnia. È probabile che questi illeciti fossero devoluti alla cognizione dell’assemblea in circostanze particolari, quando gli imputati erano personaggi di alto rango o quando il crimine per la sua gravità aveva destato risonanza nell’opinione pubblica. La massa dei procedimenti penali giornalieri doveva essere estranea alla cognizione dei patres.
Soggetti alla giurisdizione criminale del senato erano gli stessi senatori e le persone di rango senatorio. Si trattava di un privilegio di certo. Ciononostante, non sempre la trattazione della causa dinanzi al senato garantiva un trattamento di favore, soprattutto se l’accusa era di lesa maestà. Difatti il principe poteva influenzare l’andamento del processo maniera decisiva: egli poteva intervenire in ogni fase, sia impedendo l’ammissione dell’accusa o l’emanazione della sentenza, sia condizionando di fatto la decisione dei patres.
Alla fine del I secoli poteri del senato quale alta corte di giustizia erano indiscussi. Le cognitiones si svolgevano in modo regolare e continuativo, a prescindere dalla sollecitazione dell’autorità imperiale, in seguito a una denuncia presentata anche da semplici cittadini privati ai consoli, ai quali normalmente competeva la direzione del processo.
La corte non era legata dalle restrizioni formali delle quaestiones. Essa aveva difatti la possibilità di:
- perseguire nuove fattispecie non rientranti nella sfera repressiva dei tribunali permanenti
- l’aggravare o mitigare le pene stabilite
- procedere contemporaneamente contro più persone o per più reati
Si vennero progressivamente fissando, per via della consuetudine, i fondamentali principi che regolavano il modo di procedere dell’assemblea.
Il procedimento senatorio risentiva in ampia misura dell’influenza del sistema accusatorio delle quaestiones. L’accusa era presentata ai consoli, i quali, se l’accettavano, rimettevano la causa all’assemblea. Di regola era l’intero senato a deliberare sull’ammissibilità della domanda, e in tal caso il principe, se presenziava il dibattito, poteva paralizzare la decisione dei patres.
All’accusato era assegnato un termine per comparire. Il giorno stabilito per la discussione egli doveva presentarsi in senato, e in caso di mancata comparizione, se non vi erano ragioni particolari per rimandare la seduta, si procedeva in assenza dell’imputato.
Il dibattimento iniziava con la relazione introduttiva del magistrato presidente o del principe, alla quale facevano seguito le orationes dell’accusatore e dell’accusato e l’istruzione probatoria. Terminato il dibattito i senatori erano invitati ad esprimere il loro parere, essi potevano manifestare il proprio avviso anche in merito alla pena da applicare. Il presidente metteva ai voti le proposte che apparivano degne d’approvazione e i senatori esprimevano il loro giudizio. La decisione finale aveva la forma di una senatoconsulto.
La giurisdizione del senato continuò ad esercitarsi sino agli ultimi decenni del II secolo, poi cedette progressivamente il campo alla giurisdizione imperiale. Il declino ebbe inizio con il regime assolutistico di Commodo, e si accentuò in epoca severiana.