ImÂmediatamente di sĂ©guito all’emanazione di CI 1, 1, 4 c’è stato un altrettanto grosso impegno normativa: in un peÂriodo brevissimo (appena un semestre) la cancelÂleria avrebbe emanato una serie di provvedimenti tutti indirizzati al medesimo disegno di difesa della ortodossia del Credo calcedonese.
Dall’inizio del febbraio e fino alla piena estate del 452 sarebbero state date quattro constituÂtiones sul nodo centrale della materia religiosa, nelle quali il legislaÂtore avrebbe confermato e difeso quanto definito dal concilio sul Simbolo di fede, rendendo pienamente operativi (e con l’ausilio di tutti gli strumenti offerti dalla preÂgressa esperienza normativa) i canoni del consesso episcopale relativi al credo ortodosso. In queste leggi si sarebÂbe riaffermata nella maniera piĂą decisa possibile quella preÂcisa volontĂ del sovrano di farsi ‘figlio della chiesa ed in contemporanea esecutore del concilio’
Il primo di questi provvedimenti, datato 7 febbraio 452, avrebbe aperto la strada agli editti immediatamente successivi. La seconda legge non sarebbe stata inserita poi nella raccolta giustinianea. Il successivo editto del 6 luglio, alleÂgato come i precedenti agli Atti del concilio calcedonese, saÂrebbe stato parzialmente conservato in un breve estratto poÂsto nel Codex di Giustiniano sotto la rubrica De episcopis et clericis: CI 1, 3, 23. Infine, un quarto provvedimento, dato ugualmente nel luglio dell’anno 452, avrebbe lasciato qualche traccia nel Codex di Giustiniano: le norme rispettivamente contenute in CI 1, 5, 8 e 1, 7, 6 avrebbero rispecchiato altrettante sezioni di un ulteriore editto di Marciano ancora successivo (10 agosto 455), molto simile per contenuto proprio a questo testo emanato del 452.
Si ha l’impressione di essere in presenza di un ‘testo unico’ dedicato ad uno specifico argomento: quello socialmente deÂstabilizzante (e politicamente eversivo) della contestazione politico-religiosa fonÂdata su argomenti teologici. Tutti gli editti infatti avrebbero tenuto conto dei possibili attentati alla ortodosÂsia della fede, ormai racchiusa nelle formulazioni dogmatiche di ‘Calcedonia’. Le severissime disposizioni, volte a reprimere comportamenti eterodossi, nella loro compattezza avrebbero un efficace deterrente all’abbandono della cathoÂlica lex calcedonese seguita dal sovrano. In contemporanea, la cancelleria con queÂsti suoi interventi la cancelleria avrebbe criminalizzato ogni dissenso.
Queste constitutiones avrebbero rappresentato il naturale proÂsieguo, una tappa maggiormente sostanziosa ed esuberante, di un chiaro e identico percorso legislativo giĂ da qualche tempo intrapreso sul versante della catholica fides. In perfetÂta sintonia con l’impegno posto dalla corte nel promuovere, sostenere e guidare il nuovo concilio, giĂ nel corso dell’anno stesso in cui a Calcedonia si sarebbe dovuto tenere il sinodo ecumenico la cancelleria aveva preparato la strada proprio a quella legÂge che piĂą tardi sarebbe minimamente confluita in CI 1, 1, 4: altre costituzioni, ugualmente indirizzate come quest’ultiÂma e dunque collocabili in un preciso disegno di politica normativa, erano state emanate da Marciano nel 451. Il legislatore infatti, allo scopo di garantire un tranquillo svolgimento dei lavori del concilio, era intervenuto energicamente (con i rimedi offerti dall’ordinamento) affinchĂ© ‘prevedibili turbative d’ordine sociale in luoghi di rilevante interesse religioso venissero stroncate sul nascere: CI 1, 12, 5. La specifica previsione normativa, piuttosto che graduare l’evenÂtuale responsabilitĂ dei futuri contravventori e quindi commisurare la reazione repressiva dell’impero, aveva disposto, senza alternativa possibile, la massima sanzione possibile.
In tal direzione (ossia a difesa del sinodo appena concluso) una nuova legge del 12 novembre 451, CI 1, 2, 12, avrebbe assunto una programmatica posiÂzione contro eventuali precedenti legislativi che in qualche modo avessero attentato ai canoni della chiesa. La legge sembrava avere un contenuto speciale riguardante la conservazione e salvaguardia dei privilegi ecclesiastici: epÂpure, il richiamo generale dei canoni ecclesiastici dĂ l’impressione che mediante la constitutio si intendesse difendere nel suo complesso l’intero lavoro del concilio. La lettura di questi due ultimi testi CI 1, 12, 5 e 1, 2, 12, fa pensare che Marciano stesse iniziando ad assumere nella materia relativa alla catholica lex un atteggiamento alÂquanto diverso e molto piĂą concreto rispetto ai suoi predecessori. Queste leggi del 451 comunque sono utili ad indiÂcare una consapevole e coerente scelta di fondo sulle queÂstioni de fide, preannunciando i quattro editti dati poi nel 452.
Va sottolineaÂto che altrove, sempre in materia religiosa ma in un ‘settore’ del tutto distinto dalle disposizioni canoniche calcedonesi, il diritto marcianeo avrebbe invece seguito uniformemente il percorso giĂ da tempo segnato sia dalla normazione teodosiana, sia da quella anÂcora piĂą antica, Assieme alla legge in CI 1, 2, 12 Â(lo stesso giorno), Marciano, infatti, avrebbe dato pure un altro editto nel quale ricalcava tutti i topoi allora consueti alla traÂdizionale repressione dei culti pagani. Proprio nella misura in cui dal dettato di questo provvedimento non pare possibile ricavare alcunchĂ© di nuovo circa le disposizioni antipagane emanate in quel momento dalla cancelleria orientale, il contemÂporaneo documento in CI 1, 2, 12 suggerisce invece una estrema e mutata consapevolezza normativa. I due testi emanati nello stesso giorno (l’uno allineandosi ala precedente normazione antipagana, l’altro, al contrario, per l’inusuale ‘allineamento conciliare’), spingono a teÂner conto della chiara libertĂ operativa mostrata dai tecÂnici marcianei nell’effettuare le scelte di politica legislativa sulla religione.
Prima la radicale severitĂ delle posizioni sancite in CI 1, 12, 5 (a garanzia del tranquillo procedere dei lavori conciliari), e poi il richiamo esplicito e generale ai canoni ecclesiaÂstici in CI 1, 2, 12, confermano l’idea che a metĂ del sec.V si andasse consolidando con la massima chiarezza un diverso modo di considerare i problemi riguardanti la Christiana fides, in particolare le leggi del 451 forÂniscono il segnale del procedere sinergico, e talora anche parallelo, del ius principale con la catholica lex. Da qui, dunque, “nell’interesse del mondo intero, ed utilizzando il potere imperiale con la preoccupazione propria del vescoÂvo”, a breve distanza dalla chiusura dei lavori calcedonesi il legislatore avrebbe fornito alcune coordinate significative in grado di impeÂdire qualsiasi contestazione religiosa che potesse diveÂnire fonte di disordine ed elemento di eversione politica: appunto CI 1, 1,4.
Tutti avrebbero dovuto allinearsi alle decisioni di ‘Calcedonia’, senza lasciare nell’ordinamento spazi per l’eterodossia religiosa (ciò anche a prescindere dalle possibili connessioni politicoÂsociali). Nelle parole del legislatore degli inizi del 452 è espressa la considerazione che orÂmai non è piĂą consentito ad alcuno la libertĂ di espriÂmere pubblicamente la propria personale opinione religiosa.
Appena un mese dopo, il 13 marzo, un successivo intervento (stavolta ancora piĂą amÂpio del precedente) avrebbe rinnovato, confermandole, le diÂsposizioni contenute nell’altra constitutio. Di tale provvediÂmento non vi è alcuna traccia nella raccolta di Giustiniano.
In primo luogo si deve doverosamente tenere conto della estrema differenza dei singoli contenuti documentali in queÂstione. Nell’editto del febbraio 452 l’elenco dei temibili contravventori delle prescrizioni imperatorie si presentava analiÂtico e a suo modo esaustivo; viceversa il successivo documento non inserito nel Codex non avrebbe individuato particolari categorie di sudditi dissidenti: ciononostante la volontĂ del legislatore saÂrebbe apparsa ugualmente intensa, essa si sarebbe richiamata a chiare lettere proprio alla legge data appena un mese addietro (CI 1, 1, 4, 3), e perciò alle sanzioni prospettate per i fomentatori di discordie religiose. Nel tracciare un bilancio non confortante circa gli esiti regiÂstrati col primo editto, la cancelleria avrebbe rinnovato con forza le precedenti disposizioni affinchĂ© “la pena potesse riuscire a correggere tutti quelli che non si fossero giĂ ravveduti grazie. al rispetto delle norme contestualmente ribadite”. La legge data a marzo avrebbe così rinnovato con energia l’intenzione del principe di impedire “pervertimenti e falsitĂ sul Simbolo di fede, originate da pericolose e blasfeme conÂventicula super religione certantes”, richiamando sia la precedente constitutio, sia le pene con essa stabilite, sia ancora il forte deterrente simboleggiato dall’apparato giudiÂziario dello stato.
E’ piĂą che comprensibile, allora, l’opzione dei compilatori giustinianei diretta a privilegiare solo quella legge parzialmente preservata come Codex 1, 1, 4, piuttosto che il testo dell’ultimo editto di marzo. Solo nel primo, infatti, appariva il nucleo soÂstanzioso delle previsioni dirette contro gli eventuali sudditi eterodossi fomentatori di ‘gruppi’ socialmente (e politicaÂmente) inaccettabili; il secondo, pur essendo piĂą ampiamente indirizzato, aveva solo rinnovato senza elencarle le giĂ viÂgenti disposizioni.
Tuttavia nel secondo editto, forse anche piĂą che nella precedente constitutio del febbraio, è possibile rilevare la particolare collocaÂzione del legislatore nei riguardi del concilio ecumenico, traspare infatti la stessa scelta di fondo che giĂ si era annunciata con le leggi datae in tema di religione nel 451. La cancelleria intendeva indicare con chiarezza su chi e su cosa da alÂlora in avanti il credo religioso di tutti i sudditi si sarebbe dovuto ancorare, indicando nel concilio il solo fondamento della corretta fede di tutti i Romani ortodossi. Così facendo si sarebbe legato questo editto al preÂcedente, e così pure a quelli ‘religiosi’ del 451; non solo per il richiamo allo stretto dispositivo di legge (poi privilegiato nel sec.VI per CI 1, 1, 4), ma anche per la stessa scelta coerentemente affermata in entrambi i casi: la collocazione delle regole dogmatiche conciliari come sfondo e riferimento per le indicazioni piĂą preÂcettive.