Nel Principato l’interpretatio assume in prevalenza 2 significati: da un lato indica l’attività volta ad esplicare i testi normativi o a colmare le lacune, dall’altro indica il complesso delle soluzioni giurisprudenziali come parte autonoma del diritto. L’equità sembra assumere rilevanza come fondamento delle decisioni in un certo senso discrezionali dei giureconsulti (esempio: quando si staccano dalla lettera delle clausole edittali), divenute diritto scritto, ovvero quando suggeriscono al magistrato la concessione di un rimedio non strettamente previsto (esempio: Ulpiano sull’”actio de effusi set deisti”, “actio ad exibendum, “actio de dote”, “actio de peculio” (p.25-26,l.)); altre volte l’equità risulta il mero fondamento del criterio interpretativo: ad esempio quando la sententia di un giurista è qualificata aequa, aequo, aequissima in testi p.26, l. Dal complesso di queste testimonianze è evidente che nel Principato l’equità assume il significato di elemento di coesione interno al diritto giurisprudenziale (per cui i giuristi potranno adeguare “alla natura dei fatti” la rigida applicazione del ius civile o dello ius honorarium): l’equità appare come elemento “interno” in quanto derivante dallo stesso presupposto del diritto casistico (secondo cui ogni regola/principio generale deve considerarsi principio aperto, per permettere l’applicabilità volta per volta).